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Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato

Regia di Peter Jackson vedi scheda film

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La recensione su Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato

di Immorale
6 stelle

Il ritorno di Peter Jackson nella Terra di Mezzo, successivo alla sua riappacificazione con la New Line Cinema, è coinciso anche con il mio ritorno, dopo lunga assenza, nelle sale cinematografiche (un altro potere dell’unico anello ?). L’attesa è stata lunga, più per altro per la curiosità di vedere il regista neozelandese alla prese con un testo base (“The hobbit: there and back again” del 1937)  più complicato da rendere sullo schermo, anche per gli inevitabili raffronti con la trilogia passata, oltre che per le altrettanto inevitabili accuse di voler battere cassa andando sul sicuro sfruttando l’appetibile promozione del prodotto  (detta anche “Sindrome di Star Wars”, della quale Lucas è il soggetto zero).

 

 

Il film parte bene, le spiegazioni sugli antefatti ci permettono di localizzare l’unità di tempo del racconto nell’universo tolkieniano e ci offrono un “gancio” (tutto cinematografico) con personaggi della trilogia del Signore degli Anelli (Frodo, brevemente, e Bilbo da vecchio). Con il passare dei minuti, però, si palesano le prime difficoltà o pesantezze, ovvero una difficoltà crescente nel mantenere viva la tensione ed un’impostazione eccessivamente infantile e giocosa della messa in scena. Tali aspetti, va precisato, rispecchiano quasi fedelmente (se non pedissequamente rispetto agli eventi della narrazione letteraria) il “mood” della fonte originaria, che personalmente trovo inferiore alla trilogia dell’anello appunto per i suoi accentuati contenuti da letteratura per ragazzi i quali, seppur presenti in tutte le opere dello scrittore britannico  (parliamo comunque di letteratura Fantasy), in tale opera lo sono ad un livello esponenziale (pur non inficiando la godibilità della lettura).

 

 

Le corde della narrazione cinematografica si sfaldano, quindi, in siparietti da commedia in costume poco convincenti e palesemente non nelle corde del regista. Lo sfoggio di effetti speciali non riesce a nascondere neanche una certa piattezza tecnica: Jackson pare riutilizzare, a tratti, le stesse riprese (in volo, in caduta vorticosa) delle passate fatiche. Perfino la colonna sonora di Shore pare adagiarsi su tappeti sonori già sentiti, con pochi guizzi. Il racconto viene poi innestato con personaggi e situazioni ”nuove” (il negromante, lo stregone Radagast), probabilmente per “reggere” il peso sceneggiativo della nuova trilogia, che non fanno altro che spezzettarlo ulteriormente. La fase finale, per fortuna (diciamo dall’incontro con Gollum in poi), riesce a riequilibrare le sorti della pellicola: solo qui, infatti, la mano di Jackson ci propone, con una buona dose di epica, sequenze finalmente non (solo) di massa, dove la drammaticità delle situazioni viene ottimamente resa in immagini inquietanti ed oscure.

 

 

Per gli appassionati del genere, in definitiva, lo Hobbit rimane un film comunque abbastanza scorrevole, anche se può essere considerato un mezzo passo falso (nell’attesa di dipanare la “trama” totale con gli altri due capitoli della trilogia).

 

P.S.: da dimenticare il doppiaggio “romanesco” di Gigi Proietti per Gandalf/Ian McKellen (purtroppo orfano della voce dello scomparso Gianni Musy).  

La trama

Rocambolesca.

Peter Jackson

Poco ispirata.

Ian McKellen

Giocoso.

Martin Freeman

Indeciso.

Richard Armitage

Deciso.

Ken Stott

Saggio.

Cate Blanchett

Eterea.

Ian Holm

Nostalgico.

Christopher Lee

Ambiguo.

Andy Serkis

Frustrato

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