Regia di Peter Jackson vedi scheda film
Non essendomi mai appassionato alla saga più importante dello scorso decennio, mi sono approcciato a Lo Hobbit nel modo più laico possibile. Pur non amando Il signore degli anelli, ne riconosco il suo valore all’interno del cinema contemporaneo, sia per la sua capacità di creare l’ultima epica possibile ai tempi del dominio assoluto dell’effetto speciale, sia per il tentativo (in parte riuscito) di organizzare un sistema produttivo locale (in Nuova Zelanda) in qualche modo autonomo e anche interessante. Si è già detto in molte sedi, ma dilatare un romanzo di trecento pagine con illustrazioni lungo tre film dalla durata media di tre ore è una chiara operazione commerciale analoga per certi versi all’ultima trilogia di Star Wars.
Ai fans sicuramente interesserà il romanzo di formazione di Bilbo Baggins, così come ai fans di Star Wars interessava sapere tutto ciò che è avvenuto prima del quarto episodio. Sono film che fanno parte di un progetto organico e che hanno un loro senso per capire le origini o le radici di una storia appassionante, specialmente per quanto riguarda la saga di George Lucas (di cui conosciamo ogni cosa sulla genesi produttiva e sulla scelta di realizzare prima la seconda parte della saga e vent’anni dopo la prima).
Il problema, al di là delle logiche commerciali, è semplice: Un viaggio inaspettato è un film senza ritmo almeno fino al primo tempo, eccessivamente dilatato nelle troppe sequenze senza combattimenti (che rappresentano buona parte del successo artistico e di cassetta dell’opera), probabilmente privo di fascino, sicuramente rivolto ad un pubblico infantile così com’era nelle intenzioni di Tolkien, caramelloso se non buffo in non poche occasioni. Non è un caso che a segnare lo spettatore siano le rentrée dei personaggi topici del Signore degli anelli: a parte Gandalf il grigio (un divertito Ian McKellen doppiato dal grande Gigi Proietti), effettivo protagonista e spalla di Bilbo, riecco Christopher Lee, Cate Blanchett, Hugo Weaving ed Eljiah Wood nell’insolita situazione di interpretare personaggi più giovani perché la storia si riferisce a sessant’anni rispetto alla scorsa trilogia.
E non è un caso che il culmine sia rappresentato dall’apparizione di Gollum. È come se Lo Hobbit ricicli un immaginario usato e sicuro con l’unico obiettivo di fare cassa, avendo la probabile consapevolezza di non avere tra le mani una materia tanto potente quanto quella precedente. È scontato ammirare l’impegno tecnico e stilistico, per quanto qualche effetto speciale sia buttato lì senza molta cura, proprio all’interno di una logica che si rivolge ad un pubblico formato da fedelissimi o da bambini. Ma sono lampanti la mancanza di fluidità, il sapore dell’anteprima, il sospetto di aver visto soltanto una superficiale festa per gli occhi. E da quello che si propone di essere il film dell’anno si dovrebbe esigere di più.
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