Regia di Peter Jackson vedi scheda film
Lo Hobbit: un film inaspettato! Nel bene e nel male, senza mezze misure. Impugnati gli occhialini e fatte le scorte di bibite e popcorn per i 166 minuti di promesse pronunciate da più di otto anni, ci si appresta a immergersi nuovamente nelle meravigliose e decantate cronache della terra di mezzo. Ci ritroviamo immediatamente in un ambiente familiare, Hobbiville, con personaggi familiari, un anziano Bilbo e un giovane Frodo, accompagnati da un motivetto familiare, “The shire Theme” di Howard Shore. Ok, piacevole, ma quando comincia il film? Ah, attenzione arrivano i nani, ci siamo. Ah no, ora mangiano, ancora un po’. Forse ora… No, adesso cantano. Bella canzone, va bè, ascoltiamocela. Ok, ora siamo pronti all’azione! Niente, hanno incontrato un altro nano, ora si devono presentare… e avanti così fino all’intervallo.
Ok, siamo cinefili, concentriamoci sulla forma.
Il 3D
Tranquillo, niente di particolare. Ma giustifichiamolo, dopo “Vita di Pi” è dura stare al passo.
La regia
Tranquilla, niente azzardi degni di nota.
La recitazione.
Qui c’è qualche problema. I nani nella loro molteplicità rimangano piuttosto anonimi, nonostante tutti gli sforzi proclamati dal regista. Bilbo e Gandalf fanno a gara a chi imita meglio Mr. Bean: Vittoria per Bilbo, al punto che viene da domandarsi se non sia il padre segreto di Marry e Pipino. Unico veramente grandioso è Richard Armitage (Thorin Scudodiquercia), che non sbaglia un battito di ciglia in mezzo ad un compagnia di attori bricconcelli che hanno tanta voglia di divertirsi.
HFR
Ma siamo sicuri che fosse accesso? Lo scopo di questo nuovo formato dovrebbe essere di rendere più fluidi i movimenti di macchina, in particolare le panoramiche e le sferzate che solitamente presentano fastidiosi sfarfallii. Diciamo che la situazione è migliorata ma affatto risolta. Il che è un peccato perché i panorami sono davvero grandiosi.
Insomma il film procede lentamente, non flemmatico, bensì spesso noioso. Si riconoscono in tempo reale gli episodi e gli elementi di contorno che non avranno alcuna utilità nel corso della storia e che anche nel loro sistema isolato sono abbastanza stucchevoli. Su tutti una battaglia tra i nani e tre orchi cuochi di cui uno raffreddato (il pensiero dei soldi e del tempo speso per fargli fare tutti quegli starnuti e altre gag banali mi faceva star male). La sceneggiatura fa molta acqua, ci sono tanti prologhi abbastanza macchinosi e vengono spiegate e preparate più cose di quanti presenti (almeno) in questo primo film della trilogia. Ci si dà ormai per vinti, non sappiamo proprio cosa si possa inventare Jackson a più di un’ora dall’inizio del film per risollevare le sorti di…
SPATAPAM!!!
E invece ce la fa! Dal momento in cui i personaggi mettono piede nel regno degli elfi (con annessa l’apparizione di una stupefacente Cate Blanchet) il film si illumina d’immenso! Torna l’epica, torna l’atmosfera che ha reso unico “Il signore degli anelli”, torna Andy Serkis nella sua migliore performance (capture), ma soprattutto torna l’inventiva di Peter Jackson (il dialogo tra Sauron, Gandalf, Galadriel e Elrond è pura scuola di regia e montaggio). Il fantomatico HFR dà il meglio di sé nelle frenetiche scene di battaglia, chiare, fluide e definite in maniera impensabile. Il make-up per i goblin passa il testimone agli effetti speciali (sempre performer capture) e spaventano come non mai. I cattivi di turno poi, il Grande Goblin e Azog (ancora il miracoloso performer capture), sono semplicemente meravigliosi, magistralmente interpretati e con una profondità psicologica tutta da scoprire. Ed anche (e soprattutto) il personaggio di Bilbo assume finalmente una profondità, e tutto si chiarisce. Il vogleriano viaggio dell’eroe è stato dilatato nel corso dell’intera trilogia, dunque questo primo film contiene (un po’ troppo comodamente) il primo atto sia della narrazione, sia del viaggio spirituale verso la maturità del protagonista. Scelta quest’ultima un po’ azzardata e non del tutto riuscita, dato che la prima (quasi decisiva) parte del film ne ha risentito parecchio, ma che in proporzione con la seconda (oltre 100 minuti) risulta tutto sommato accettabile. I primi sessanta minuti la spuntano anche grazie ad una trovata di Peter Jackson che arriva direttamente dalle lezioni della Lucasfilm. Disse Lucas, comparando la vecchia e la nuova trilogia di Star Wars: “È un po' come nella poesia. Sono in rima. Ogni strofa fa rima con la precedente... Si spera che funzioni”. E funzionò, ma solo col terzo episodio. Qui invece Jackson, grazie anche all’intromissioni di vecchi (più giovani) caratteri quali Cristopher Lee, Hugo Weaving, Cate Blanchet, Andy Serkis, Ian Holm e Elija Wood, riesce fin da questo primo episodio a trovare le “rime” giuste per creare un’opera unica e strettamente connessa, coesa e coerente con la trilogia de “Il Signore degli Anelli” (vorrei fare degli esempi, ma sono così evidenti che non ha senso spoilerare).
Ammetto che quando sono entrato in sala ero abbastanza distaccato. A differenza della nuova trilogia di star wars, in cui c’era una forte domanda-guida (“Cosa accadde ad Anakin Skywalker, personaggio amatissimo dalle generazioni, per farlo diventare Darth Fener?”), ne Lo Hobbit mancava qualsiasi presupposto di curiosità (avete capito che non ho letto il libro, giusto?) che mi spingesse a provare tutta quella foga che ha portato migliaia di fan ad accamparsi a Wellington per assistere all’anteprima e che ora provo anch’io. E, lo giuro, il merito non è solo dell’occhiolino che Smaug mi ha fatto alla fine per darmi appuntamento al prossimo anno con la sua “desolazione”.
Nel frattempo mi sa che andrò a rivedere questo primo episodio… almeno un altro paio di volte ;)
(Bellissimo il tema dei Nani e la loro canzone “Misty Mountains” da godersi durante i titoli di coda).
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