Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
Portare un libro sullo schermo, tradurre per immagini la parola e soprattutto i pensieri di uno scrittore è un compito difficile. Chi ci ha provato, tranne rare eccezioni, ricordiamo lo "Shining" di Kubrick, peraltro disconosciuto dall'autore del testo, ha dovuto subire le critiche di coloro che avendo letto il libro si sono sentiti a vario modo traditi per una versione troppo ossequiosa o all'opposto fin troppo sbarazzina. Nel caso de "Il primo uomo" a questi motivi si aggiunge il fatto che a firmare l'opera letteraria è Albert Camus, artista a tuttotondo (scrittore, drammaturgo, polemista) ma prima ancora intellettuale militante, impegnato in prima persona nelle faccende che riguardarono la sua terra natale, l'Algeria, coinvolta verso la metà del novecento in una guerra sanguinosa e fratricida volta ad ottenere l'indipendenza dalla Francia colonialista di quel periodo. Ed è proprio in quest'ottica che Jacques Cormery, alter ego dello scrittore, accetta l'invito dell'università di Algeri, dove il suo intervento a favore di una riconosciuta autonomia culturale del paese prima ancora che geopolitica viene sonoramente disapprovata da chi ne vorrebbe mantenere inalterato lo statuto. Sulla scia di quell' evento e con i segni di un conflitto sempre più evidente Cormery inizia un viaggio della memoria che lo riporterà ai luoghi di un infanzia povera ma vitale, rivisitata nei ricordi dello scrittore ed attraverso i colloqui con le persone che vi presero parte, in primo luogo l'anziana madre amorevole ma distante ed il maestro che per primo ne capì l'eccezionalità aiutandolo ad ottenere la borsa di studio che darà il via alla sua eccezionale carriera, e poi il compagno di scuola che gli chiede di salvare il proprio figlio condannato a morte con l'accusa di aver favorito l'attentato in cui sono morti numerosi civili.
Caratterizzato da una lunga gestazione e condizionato da problemi produttivi che ne hanno messo in forse il regolare svolgimento "Il primo uomo" è innanzitutto il ritorno al cinema di un regista importante. Per far questo Amelio sceglie un opera a lui congeniale non solo per essere il frutto di una personalità costretta come lui a conquistarsi uno spazio, artistico e sociale, inizialmente negato da umili origini ed indelebilmente segnato dall'assenza della figura paterna (il padre di Camus morì giovanissimo nella battaglia della Marna mentre quello di Amelio emigrò in Argentina e li rimase) ma ancor più nella coincidenza di contenuti che nel rapporto tra padri e figli e nei motivi dell'infanzia rubata trovano perfetta corrispondenza nel cinema del regista calabrese. La familiarità è però chiamata a fare i conti con un testo scritto, denso e stratificato, intessuto fino all'orlo di un panteismo che in Camus è una vera e propria religione (in assenza di quella ufficiale) humus che nutre i personaggi e le loro azioni. Un richiamo costante di cui il film di Amelio non riesce a farsi carico nella costruzione psicologica dei protagonisti e nella dialettica con l'ambiente in cui questi si muovono, racchiuso da inquadrature prive di orizzonte (forse per sottolineare la dimensione interiore del racconto oppure per le sopraggiunte difficoltà finanziarie) ed interamente risolta in chiave nostalgica da una fotografia pastosa ed intessuta di tonalità dorate. Un vuoto che Amelio sostituisce forzando la mano in chiave ideologica e politica, facendo derivare l'incipit del film, ovvero il ritorno in patria e la successiva "indagine" non tanto dalla necessità di fare luce sulla personalità di un padre mai conosciuto ma piuttosto, ed in film su questa direzione baserà soprattutto la seconda parte con il tentativo di Jacques di liberare il figlio dell'amico ingiustamente incolpato e poi nell'invito a scongiurare una guerra fratricida divulgato con un intervento radiofonico, sull' attitudine civile e militante del protagonista. "Il primo uomo" di Amelio si carica allora di significati che rimandano alla nostra contemporaneità, dal terrorismo allo scontro di civiltà, che però dovendo condividere un terreno che non gli appartiene, perchè la storia rimane comunque la ricostruzione di un ritorno alle origini operato attraverso le strutture del romanzo di formazione, finiscono per non avere la forza e la forma con cui invece questi temi dovrebbero essere denunciati.
Ed alla fine, pur riconoscendo al regista una compostezza della messinscena - dall'understatement recitativo alla sobrietà compositiva delle inquadrature - che rende giustizia in qualche modo al carattere schivo ed essenziale della materia, rimane forte la sensazione di un lavoro irrisolto e poco appassionante. Distribuito dalla 01 in un numero di sale da film di seconda fascia "Il primo uomo" ha comunque trovato i suoi estimatori vincendo il premio della giuria all'ultimo festival di Toronto.
(pubblicato su ondacinema.it)
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta