Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Il viaggio dell'ex leader di una band gothic alla ricerca di una (apparente) vendetta posticcia intergenerazionale si trasforma in un'esplorazione dell'America abbandonata e (neanche tanto) subdolamente infiltrata di follia, fra assassini in giacca e cravatta, inventori falliti, ragazze madri che crescono i propri figli a pane, punk e depressione, donne maschiacce e uomini in crisi d'identità. Ma fa anche presto a diventare (ovviamente) la parallela ricerca di una serenità interiore da tanto tempo agognata, che le luci della ribalta avevano per anni obnubilato, ma che adesso, con l'avanzare degli anni, riemerge prepotentemente per gettarci sul fondo di un abisso nevrotico e solitario. C'è obiettivamente troppa carne al fuoco: la fuga dei topi, i campi di sterminio, il rapporto vittima carnefice, la violenza antropologica degli USA, il nichilismo esistenziale del mondo moderno, la facilità di procurarsi armi da fuoco, l'evoluzione della musica contemporanea (il passaggio burrascono dalla complessità strutturale del rock psichedelico e progressivo alla delocalizzazione brutale e rinnegatrice della New Wave e dei movimenti post-rock e post-punk), il rapporto fra essenza ed apparanza ed altro ancora. Argomenti che spesso fanno a cazzotti fra di loro e che, a dirla tutta, a tratti sembrano buttati lì giusto per far numero. Il risultato è un film tecnicamente curato ma amorfo, un pasticcio di idee messe insieme frettolosamente ed alla rinfusa, che all'inizio stranisce, ma dopo poco inizia semplicemente ad annoiare. Non convince molto neanche il personaggio di Sean Penn: a parte la puerilità dell'allegoria sulla sua crescita personale (con trucco e parrucco prima, senza dopo), è troppo ostentatamente apatico per apparire davvero depresso e lacerato, più che un uomo adulto che sta compiendo un percorso di scoperta personale sembra un adolescente a cui la mamma abbia tolto la connessione internet perché ha preso quattro al compito di matematica. Insomma, il problema è quello di un po' tutti i film di Sorrentino successivi a Le conseguenze dell'amore: vuol fare il passo più lungo della gamba, non rendendosi conto di non essere in grado di gestire un materiale narrativo così complesso solo buttandola sulla resa visiva, la quale oltretutto, dato che il regista in questione non è né Kubrick né Tarkovskij, è ben lungi dal poter reggere la durata di un intero film.
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