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This Must Be the Place

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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Carlo Ceruti

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La recensione su This Must Be the Place

di Carlo Ceruti
10 stelle

Con uno stile grottesco che arriva a deformare le caratteristiche dei personaggi, rendendoli talvolta simili a dei mostri assurdi, Sorrentino costruisce un piccolo capolavoro in cui scorrono venature di alta poesia, senza mai far ricorso al sentimentalismo o ad altri subdoli “americanismi”. Usa piuttosto una maligna ironia che spesso si tramuta in sarcasmo, che fa talvolta fa ridere verde.
Allora vediamo Sean Penn truccato da rockstar depressa per ragazzetti tossicodipendenti. Il guaio è che è davvero depresso e sono circa vent’anni che non lavora più. Il mondo lo nota solo per il suo bizzarro abbigliamento, ma lui pare assolutamente incurante di tutto ciò. Quando cammina in mezzo agli altri, con l’andatura lenta e lo sguardo di perenne indifferenza, pare avere una certa fierezza del suo modo di vivere. Difatti è un uomo che ha dei precisi valori e delle ferree regole morali e pare così volersi beffare degli altri, che appaiono così tremendamente alienati da una società conformista e fasulla. È orgoglioso del suo anticonformismo, perché gli dà una sorta di aurea divina. Ma nei suoi occhi azzurri, appare costante la presenza di un velo grigio che gli dona una sorta d’inespressività e ci si chiede cosa ci sia dietro questo velo. Certamente qualcosa che va oltre la semplice depressione.
Pian piano il regista compone la sua psicologia e scopriamo che Cheyenne (Sean Penn) è ancora un bambino, un essere infantile che rifiuta d’integrarsi con una società che detesta e che non ha mai avuto un buon rapporto con suo padre. Forse è per colpa di questo rapporto che non riesce a crescere? Sta di fatto che, quando il padre muore, Cheyenne scopre che il primo era sulle tracce di un aguzzino nazista e decide così di finire il lavoro: illudendosi così di dare un senso alla sua vita e di riscattarsi di fronte a suo padre riconquistandolo; è il senso di colpa per non aver mai costruito un buon rapporto con il padre a spingerlo a questo gesto oppure la necessità di una semplice distrazione? Lo scopriremo in un finale geniale ed ambiguo, la cui interpretazione è (in parte) affidata allo spettatore.
Contrassegnato da numerosi momenti memorabili e da prove d’attori magistrali ed originali, il film vale per moltissime ragioni. Prima cosa per l’atmosfera angosciosa che il regista ha saputo creare; un angoscia non concreta, ma astratta, indefinita, che galleggia nell’aria dall’inizio alla fine e che talvolta si traduce in perfida ironia. Vale per un ritmo svelto ed una connessa tensione drammatica infallibile, che mantiene alto l’interesse di chi guarda. Vale per Penn che dà al suo personaggio una geniale ambiguità composta da: sicurezza ed insicurezza; spavalderia e depressione; e che recita in sordina per conferire a Cheyenne gigioneria. Vale per il personaggio principale, che attraversa i corridoi umani come un fantasma maledetto e la sua psicologia (dettagliatamente costruita) è talmente ambigua che non si capisce se sia lui il pazzo o lo siano gli altri e che talvolta si arroga, di fronte allo spettatore, persino lo status di vittima sociale. Infine vale per un finale poeticamente geniale.
Tabellino dei punteggi di Film Tv humor:1 ritmo:2 impegno:3 tensione:2

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