Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
L’avventura internazionale di Sorrentino era molto attesa ed il risultato finale non è certo appagante al 100%, ma ci sono parecchie considerazioni da fare al riguardo, almeno a mio avviso.
Innanzitutto non ci si può sempre aspettare la magia grottesco/visionaria dei suoi film migliori (e soprattutto certe esperienze sono garantite storicamente solo quando vi è un’indipendenza assoluta che qui, con un budget di 30 milioni di euro, non vi può essere), in secondo luogo questa è comunque un’operazione artigianale e d’autore che deve/vuole guardare oltre e che su questi orizzonti va valutata.
Cheyenne (Sean Penn) vive, senza troppa gioia, in quel di Dublino con la moglie Jane (Frances McDormand), per quanto con lei ci si trovi benissimo.
Quando scopre che suo padre, che non vede da trent’anni, è morto si reca in solitaria a New York e qui scopre che suo padre è stato ad Auschwitz e che il suo aguzzino è ancora vivo ha dimora in negli States.
Decide quindi di solcare gli Stati Uniti alla sua ricerca.
Il film di Sorrentino non si risolve completamente (ed anche la risoluzione della ricerca è quanto meno avventata), anzi tutt’altro, ma comunque ha ottime armi da giocarsi ed il regista sa benissimo come utilizzarle al meglio.
L’inizio è tiepido, ma non manca di lesinare comunque carte vincenti, come uno sfondo che tra l’altezzosità dell’abitazione di Cheyenne e la desolazione del resto risulta essere ben decifrato, ma soprattutto il rapporto tra Cheyenne e Jane l’ho trovato semplicemente squisito tanto che la quasi completa uscita di scena di quest’ultima (ottima come sempre Frances McDormand), non mi ha soddisfatto appieno.
Parte poi un road movie, fatto di tanti incontri (ma anche di luoghi valorizzati da una fotografia a tratti sublime), personaggi “out of contest”, divagazioni itineranti, ma soprattutto tanti dialoghi meritevoli, probabilmente non sempre attinenti completamente al percorso emotivo di Cheyenne, ma comunque spesso capaci di donare quella partecipazione umorale che fa sempre un gran piacere.
Gagliarda la colonna sonora che ho apprezzato parecchio, simpatico l’incontro “on stage” con David Byrne, un po’ sul generis il prefinale (non proprio convincente), mentre la conclusione offre comunque una bella sterzata (sarà che Sean Penn al naturale rimane di un altro livello, su questo direi che anche il trucco eccessivo, così come alcuni eccessi nei modi espressivi, sono stati sì un’idea coraggiosa, ma non troppo valorizzante).
Rimane così un film assolutamente imperfetto per tanti motivi, ma al contempo anche affascinante, il talento è nitido, le scelte, pur all’interno di un complesso convenzionale, coraggiose, ma non sempre pertinenti.
Interessante ed a suo modo personale.
All'interno di un percorso per lui fin troppo convenzionale riesce comunque a farsi notare.
Grandi riprese (anche grazie alla fotografia valorizza appieno il contorno), forti contrasti, un'idea di cinema, per quanto in Italia abbia dato di meglio, rimane una performance da tenere in giusta considerazione, visto che salti così sono spesso terribili.
Troppo agghindato e folkloristico, sarà anche per questo che l'ultima scena l'ho trovata stupenda (...).
In ogni caso sotto tutto quel trucco, e quelle premeditate movenze (senza dimenticare le risatine isteriche al limite del sopportabile), si è perso buona parte del suo istrionico talento.
Bravo, ma limitato, si poteva sfruttare meglio assai.
Una bella freccia, ma il tempo a disposizione nel film le è tremendamente tiranno.
Nella prima parte è sublime, fa un pò impressione pensarla insieme ad un belloccio come Sean Penn, ma lei è assolutamente magnifica tanto che è un vero dispiacere doverla perdere di vista dopo i primi trenta minuti.
Fantastica.
Azzeccato.
Particina nella quale è bello rivederlo.
Comparsata che valorizza chi ha studiato una colonna sonora di livello superiore.
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