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This Must Be the Place

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su This Must Be the Place

di pazuzu
6 stelle

Cheyenne è un goth rocker pensionato e spento, con il trucco di Robert Smith, le movenze di Ozzy Osbourne, ed il male di vivere di chi porta sulla coscienza un atroce fardello. Con la sua band, i Fellows, ha attraversato gli anni 80 recitando versi cupi su sonorità decadenti ed ottenendo successo e fama grazie al seguito fedele di adolescenti che in quel nichilismo vedevano riproposto in versi il loro immaginario mondo, e nel suo cantore un modello. Fino a quando due di questi, fratelli, sul finire del decennio hanno deciso di passare dall'adulazione ai fatti ponendo fine alle proprie depressioni e lasciando sull'artista, omaggiato con l'epitaffio sulla lapide, il peso insostenibile della responsabilità. Da allora per lui la chitarra va tenuta a distanza, così come la notorietà: chiuso nello sfarzo della sua villa dublinese senza l'assillo di doversi guadagnare da vivere ma campando di rendita grazie ad una carriera costruita cavalcando la moda del momento, spende il suo tempo a giocare a squash nella piscina vuota con l'amata moglie Jane, a cercare di convincere la sua giovane e triste amica Mary a fidanzarsi con l'altrettanto giovane e triste Desmond, a far visita alla madre di lei, disperatamente incollata ad una finestra ad aspettare il ritorno del figlio Tony, sparito senza lasciar tracce, e ad ascoltare incuriosito i resoconti piccanti di Jeffrey, un uomo dall'aspetto anonimo ma dalla vita sessuale insospettabilmente intensa. Poi, di colpo, una telefonata dagli Stati Uniti gli ricorda l'esistenza del padre, un ex deportato sopravvissuto ad Auschwitz col quale non parla da trent'anni perché non ha mai accettato i suoi costumi eccentrici, che vive negli Stati Uniti e che lì, gli dicono, sta per morire di vecchiaia: inizia così il suo viaggio in pick up, che da New York, dove arriva giusto in tempo per la camera ardente, lo porta a spaziare in lungo e in largo, dal Michigan al New Mexico allo Utah, per impegnarsi in quella che scopre esser stata la missione dal padre fallita: scovare Aloise Lang, un ufficiale nazista reo di averlo umiliato ai tempi della prigionia, e fargliela pagare.
Il quinto film di Paolo Sorrentino è il suo primo con produzione internazionale, fortemente voluto dal protagonista Sean Penn che, in qualità di presidente di giuria, a Cannes 2008 aveva premiato il precedente, Il Divo, accompagnandolo con giudizi entusiastici.
Fin dai primi fotogrammi, in This must be the place saltano agli occhi l'indubbia perizia e l'abilità tecnica che il regista campano mette in mostra ad ogni inquadratura, con morbidi voli e movimenti sinuosi della macchina da presa che però non sempre sembrano amalgamarsi al meglio col racconto, tendendo talvolta a fagocitarlo e divenirne i protagonisti assoluti: perché allo stile di regia esibizionista e magniloquente, che porta inevitabilmente con sé qualche lungaggine di troppo ed un'indubbia pesantezza complessiva nell'incedere, fa da contraltare una storia apparentemente esile, tutta giocata su mezzi toni e piccoli dettagli che rischiano di finirne schiacciati. Dietro la maschera di acrobazie e ghirigori spesso inutili This must be the place nasconde infatti la stessa aria malinconica del suo protagonista ed il suo senso dell'umorismo sofferente e dimesso. La caccia al nazista di Cheyenne diviene presto necessaria e inevitabile ricerca di sé, che parte dalla constatazione del proprio infantilismo cronico e dall'elaborazione dei propri sensi di colpa (per i due fan suicidi e per il padre spirato prima di riuscire a riavvicinarlo), passa per incontri, anche brevi brevissimi o muti, da ognuno dei quali uscire anche impercettibilmente arricchito, e si conclude con la maturazione della consapevolezza che la maggior pena per aver fatto del male a qualcuno è avere a disposizione quel che resta della propria vita per dolersene: peccato però che l'evoluzione dei fatti appaia fin troppo semplicistica, e che il profondo struggimento dell'ex rockstar emerga solo a strappi, negli intervalli in cui Sorrentino concede una pausa al fumo dei propri virtuosismi.
Condotto al ritmo blando della sceneggiatura frammentaria scritta dallo stesso Sorrentino con Umberto Contarello, e dominato, nel bene e nel male, dalla sua elegante ma ingombrante regia, This must be the place è un film affascinante ma squilibrato, comunque nobilitato dai dialoghi sospesi sul filo di un'ironia dolorosa e amara, e dall'interpretazione potente e misurata di uno Sean Penn bravo a render credibile un personaggio problematico ed eccessivo alle prese con il quale sarebbe stato facile scadere nella maniera.

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