Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Un trolley od un carrello per spesa trainato,i capelli sparatissimi ed il trucco pesante in faccia,Cheyenne è un rimasuglio benestante,di un'epoca lontana,ritiratosi dal palcoscenico e dalla vita reale,in un limbo dublinese in cui ogni anno è uguale ad un altro.Per il suo film internazionale,Paolo Sorrentino ha scelto come soggetto l'esilio volontario di una popstar,con sensi di colpa annessi (che forse ne hanno condizionato le scelte) ,ripiegato su se stesso in una ripetività senza alternative,al quale però la vita bussa di nuovo alla porta,riportandolo in America,dove il padre è passato a miglior vita.Ed un antico segreto riporta il protagonista a riaffacciarsi alle cose,perseguendo una vendetta fuori tempo massimo che risolverà a modo suo. "This must be the place" è l'evento del cinema italiano di questa stagione,la stampa sforna copertine con Sean Penn truccato in modo da richiamare Robert Smith dei Cure ed articoli entusiastici,con recensioni molto positive che sottolineano la forza del cinema sorrentiniano,che può valicare gli apparentemente impossibili confini della distribuzione nostrana,con raffronti con il cinema di Visconti e Bertolucci,al servizio dei quali star come DeNiro,Lancaster e Brando non si esimevano di mettersi. E spiace non sentirsi del tutto coinvolti in questa ondata di entusiasmo,ma il nuovo film di Sorrentino non mi ha esaltato,o perlomeno non mi è parso la grande opera che tutti incensano:ogni titolo è diverso dagli altri,vero,e Penn è bravissimo nella sua performance stranita,attonita,da outcast sepolto in se stesso. Però "This must be the place",con i suoi scenari d'America estesi e magniloquenti,i suoi frequenti preziosismi con la macchina da presa,il ripescaggio di due grandi caratteristi come Judd Hirsch e Harry Dean Stanton,assomiglia più ad un riuscito esercizio di regia che ad un film bello davvero. Sono migliori i momenti vari sparsi per il film,gli episodi e gli squarci degli incontri con chi continua a vivere da parte di Cheyenne che si è tirato indietro da tutto,che l'intero lungometraggio,spesso dispersivo ed un pò smarrito in un disegno che fatica a delinearsi del tutto. Certo,è cinema di serie A,ma non un film che colpisce come aveva fatto "Il divo",o "L'uomo in più",opere di impatto come questa,ma più a dimensione umana o rappresentative del grottesco senza perdere di vista il tratteggio dei personaggi.
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