Regia di Peter Greenaway vedi scheda film
Da parecchi anni ho smesso di seguire Greenaway e, a giudicare da quel che ne leggo, non mi sto perdendo molto: era del resto abbastanza prevedibile che il suo particolarissimo sguardo cinematografico lo avrebbe portato a una deriva autoreferenziale sempre più spinta. Ma questo film è un punto di equilibrio ancora perfetto: ci sono gli elementi tipici del regista, ossia cataloghi di tutto il catalogabile (con preferenza per l’arte e argomenti affini), ma soprattutto c’è una storia che viene svelata a poco a poco, tramite indizi sempre più chiari, fino allo svelamento conclusivo. Lo spettatore si trova così nella stessa situazione del disegnatore, che crede di essere il padrone del gioco e solo alla fine si accorge di essere stato soltanto una pedina: c’è un cadavere, un assassino e un movente, ma tutto viene occultato così bene che bisogna aspettare l’ultima scena per avere il quadro completo della situazione. E d’altra parte tutto è così bene amalgamato che non si capisce se sia una vicenda gialla con divagazioni artistiche o un trattato d’arte contenente incidentalmente una vicenda gialla: per Greenaway, è chiaro, ciò che conta sono le sue personali ossessioni, ma in questo caso possiamo ben parlare di un film riuscito quasi contro le intenzioni dell’autore.
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