Regia di Peter Greenaway vedi scheda film
“Le condizioni dell'accordo, Mr. Noyes, sono: i miei servigi di disegnatore per dodici giorni per l'esecuzione di dodici disegni della casa con giardini, parchi ed edifici annessi della proprietà di Mr. Herbert. Le vedute dei dodici disegni saranno scelte a mia discrezione, tenendo conto del parere della signora.”
“E in cambio, Thomas, sono disposta a pagare otto sterline a disegno. Ehm, a provvedere a vitto e alloggio per Mr. Neville e il suo servo e...”
“E..., signora?”
“Acconsentire di incontrare Mr. Neville in privato e soddisfare le sue richieste riguardo al suo piacere con me.”
Assolato agosto del 1694, Inghilterra, nei paraggi di Southampton: Mr. Neville (Anthony Higgins) è un giovane e sfrontato artista con un nuovo piacevole incarico. Nero su bianco, stipula un contratto che prevede una ricca corresponsione da parte di Mrs. Herbert (Janet Suzman), ricchissima signora che ha deciso di regalare al marito, una volta tornato da una trasferta a Southampton, dodici paesaggi della loro sfarzosa tenuta Compton House; la corresponsione consta anche di regolari e concordati rapporti sessuali fra il disegnatore e la facoltosa e matura matrona.
Nel lussuoso edificio vivono anche la figlia di Mrs. Herbert, cioè Mrs. Talmann (Anne Louise Lambert), e il di lei marito Mr. Talmann (Hugh Fraser), teutonico e impotente pavone, oltre ad una numerosa servitù.
I signori dapprima assecondano le bizzarrie e la rigida attinenza al reale nel campo artistico da parte dell'arrembante Mr. Neville, ma poi nella paciosa proprietà si intravedono piccoli dettagli e avvenimenti fuori fase, a partire da una inspiegabile statua vivente poco mimetica fino all'alone di mistero intorno al viaggio di Mr. Herbert, passando per un ulteriore contratto che Neville va a redigere con la giovane Mrs. Talmann...
Secondo lungometraggio, venuto dopo un documentario sperimentale e un numero indefinito di corti sulla stessa falsariga, di Peter Greenaway, “I misteri del giardino di Compton House” è a tutti gli effetti l'opera pittorica di una figura nata come artista visuale cimentatasi nella cinematografia solo in seguito. Sebbene fossi a conoscenza di questa premessa prima della visione, questa mi ha comunque colto spiazzato, tanto per fornire un'idea di quanto abbia finora ignorato questo autore.
Balza immediatamente all'occhio l'incredibile cura formale di Greenaway, poco interessato alla ricostruzione storica e alla trama per concentrarsi sull'obiettivo di condensare la sua immagine ideale, fotogramma per fotogramma, in un'inquadratura, in un'impostazione geometrica e simmetrica maniacalmente studiata, in un dipinto appeso, in un eccesso, in una ridondanza di qualche tipo “soffocata” dalla compostezza della sua regia. Molto funzionali nell'adiuvare l'impatto cercato da Greenaway sono la fotografia e il “commento” musicale classico-minimalista di un Michael Nyman ancora emergente.
Grottesca commedia degli opposti prima e barocca mystery tale poi, “The draughtsman's contract” (letteralmente traducibile come “Il contratto del disegnatore”) non si limita a porre l'accento sul rigore formale fine a se stesso; nonostante didascalismo e verbosità possano risultare debordanti ed indigesti, Greenaway fa evolvere con classe indizi e malizia sul materialismo e sul rapporto di convenienza che legano signori e artista (rapporto allargabile su scala più larga), basato su un meretricio libertinismo e sull'attaccamento al denaro, sulla soddisfazione materiale dell'ego e sull'affermazione del proprio status. Mentre i padroni sembrano stolidi e l'arrogante Mr. Neville sicuro di sé, sarà proprio quest'ultimo a rendersi conto in ritardo di esser stato un vile strumento di piani che non ha potuto o voluto vedere. E per un po' ci crede pure lo spettatore!
Film poco convenzionale, opera d'arte “cercata”, forse anche presuntuoso: d'accordo, devo recuperare qualcos'altro di Greenaway.
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