Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Con un misterioso e conturbante prologo, esteticamente imparentato con altrettanto affascinanti (e tecnicamente ineccepibili) sequenze del precedente Antichrist, si apre Melancholia, altro difficile capitolo della filmografia di Lars Von Trier. Spiazza l'incipit pittorico, supportato da Wagner, ma a lungo andare si rivelerà la parte migliore del film. In nuce sta tutto lì: un castello, un matrimonio, fatti drammatici, una imminente catastrofe, un nuovo pianeta, personaggi solo abbozzati, totale e personale visione cinematografica del regista a sconfinare nella psicanalisi. Serve conoscerelo, il regista danese, serve documentarsi sul suo modo di girare, sulla sua poetica, serve leggere le recensioni dei suoi film, serve persino sorbirsi qualche sua provocatoria e delirante conferenza stampa. Si capisce dunque come nella prima parte dell'opera, riservata ad una delle due sorelle protagoniste, la Justine ottimamente interpretata dalla Dunst, l'attacco antiborghese (tematica già affrontata più volte dall'autore) sia alla base di una festa di matrimonio che è cinica presa per i fondelli e grottesca rappresentazione al contempo. Il consueto senso di spaesamento, curiosità mista a irritazione pervade lo spettatore. Con pazienza, dopo un'interminabile ora di proiezione, si giunge alla seconda parte, dedicata a Claire, ottima anche la Gainsburg, dove la presenza di Melancholia, incubo reale e contraltare terrestre, si fa ingombrante fino a sovrastare, schiacciare, annichilire dapprima la mente, poi i corpi. Resta un senso di incompiutezza, molti punti di domanda, una vaga delusione. Inarivabili a confronto, per chi scrive, Dogville, Dancer in the dark, Le onde del destino.
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