Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Nel bene e nel male, von Trier è uno dei registi più eclettici e che più si è trasformato nel corso della sua carriera. Che non fosse mai sincero non importa, fin dall'inizio ha promesso cinema di puro disturbo, visivo e psicologico, che non avesse interesse nei confronti dei limiti che volesse porsi lo spettatore. Certe volte è stato gratuito, altre volte i suoi film avevano un perché, benché questo suo cinema sia di per sé limitato da questa presa di posizione. "Melancholia" è l'ultimo suo lavoro, ed è emozionante, nonostante tutti i suoi difetti. Lars smussa i pungiglioni dello stile di Antichrist, e cerca di porre maggiore angoscia dal punto di vista psicologico, almeno come la prima parte del sottovalutatissimo "Antichrist". Infatti in "Melancholia" non c'è degenerazione violenta, gore, ma c'è un climax diverso, che punta alle sensazioni più elementari dello spettatore, le fa sue e le sbriciola senza pietà. Prima ci accompagna in ralenti fluidi e anche TROPPO rallentati, e poi ci sbatte in faccia una crudeltà visiva inaudita. La figura di Kristen Dunst è, vista l'intera filmografia del regista, non del tutto insolita, rappresenta la rassegnazione, la razionalità, la coscienza della fine. E se Charlotte Gainsborough è invece la fede, la paura e il desiderio vitale, il bambino che infine diventa protagonista è l'innocenza e l'inconsapevolezza. Sembrano due stadi della menta umana, due modi di approcciarsi al reale, o addirittura le tre fasi della vita, infanzia, prima età adulta e maturità. Così i film di von Trier sbriciolano metafore e simbologie elementari, anche più ordinatamente che in "Antichrist", e parlano ad uno spettatore attento, che però, se non vuole stare attento, può tranquillamente aspettare l'agghiacciante sequenza finale, in cui, alla fine, scompariamo e ci inabissiamo anche noi.
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