Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Melancholia è un pianeta in rotta di collisione con la terra. I minuti iniziali di incipit onirico, dai ralenty sostenuti e maestosamente agghindati di wagneriano Tristano e Isotta, ritagliano la storia a spezzoni, più o meno decodificabili, fino al tragico epilogo e ci immergono in una dimensione cinematografica cara al nostro Lars.
Che poi sia una dimensione sdoganata da Kubrick quando il nostro giocava ancora con paletta e secchiello poco importa, sia a lui che a noi.
Le magagne iniziano quando Lars, al pari dei meticolosi organizzatori di cerimonie che si occuperanno del matrimonio di Justine (Kirsten Dunst), inizierà, fuori tempo massimo, a contare i fagioli della bottiglia.
Il film è diviso, verosimilmente, in tre parti. Della prima abbiamo accennato. Poi ci si avvia nel convenzionale di una narrazione che esemplifichi. Quel convenzionale al quale il regista non è avvezzo e dove, infatti, paga visibilmente pegno.
Justine e Claire (Charlotte Gainsbourg) sono due sorelle.
La prima appena sposata giunge nella lussuosa dimora della seconda dove è stato organizzato uno sfarzoso ricevimento. Justine ci appare inizialmente solare e felice, è un’affermata copywriter tanto da beccarsi la promozione ad art director dal suo datore di lavoro, anche testimone dello sposo, proprio durante la cerimonia, ma in realtà cova alterne crisi depressive.
Claire è sposata con un figlio e vive da mamma e moglie serena, e vorrebbe vedere anche l’amata sorella Justine venire a capo della sua irrequietudine.
E qui Lars inizia inspiegabilmente a contare i fagioli.
Prima col far salire una limousine di dodici metri su per un viottolino di campagna, dove ovviamente rimane incastrata e gli sposini proseguiranno a piedi arrivando con due ore di ritardo (cellulari no, eh?), poi con regolari botte di depressione del novello, cinico e spietato art director che spiana i mercati a colpi di slogans (suo il famoso: toglietemi tutto ma non il mio Lars..), ma che ogni tanto abbandona la sala e se ne va a spasso per i campi da golf o a farsi un bel bagno caldo, ed il novello sposo, il buon Michael (Alexander Skasgard), attende magnanimo sempre con l’aria di chi pensa: “era andata pure troppo bene, oggi…”; al culmine della “fase nera”, Justine, riuscirà a licenziarsi, fare inalberare il cognato, avere rapporti sessuali con uno sconosciuto sul green della settima buca e lasciare andar via lo sposo che nel frattempo ha gettato definitivamente la spugna.
Rimarranno i pedanti organizzatori di cerimonie col loro gioco per gli invitati: vincerà il premio chiunque riuscirà ad indovinare l’esatto numero di fagioli contenuti in una bottiglia.
A questo punto la simpatica metafora dei fagioli e del “fuori tempo massimo” s’è già bevuta anche il nostro Lars, che nella terza ed ultima parte, quella dedicata a Claire - ma che vedrà sempre Justine protagonista - gira cinema che vorrebbe spiegarsi; e continuerà a comunicarci quanti fagioli ci sono nella bottiglia (pure Justine lo sapeva, perchè Justine sa tutto! - forse per questo azzecca gli slogans -), quando lo spettatore è già avanti di suo, prima palesandoci che forse il pianeta Melancholia sfiorerà appena la terra (nel frattempo, sul resto del pianeta - quello meno depressone e più razionale - nessuno che si preoccupi del problema “impatto imminente”..), poi facendo fare la figura barbina all’unico della compagnia che sembrava vagamente con la testa sulle spalle (Kiefer Sutherland, marito di Claire), ed infine relegando sorelle e nipote nella “grotta magica”, romantico, magico ed estremo baluardo all’inevitabilità dei mondi.
Perché voler esplicare fino alla fine? Mettere a nudo la disperazione e le reazioni dei presunti saggi ed il pacato acquietarsi dei (della) più turbolenti (e) d’animo?
Non è come voler contare i fagioli della bottiglia a festa finita da un pezzo? Ci saremmo accontentati, sereni, dell’incipit…
Una cosa è certa.
Se la Terra un giorno dovesse finire nel mirino di un asteroide/pianeta impazzito, spero che il regista dei miei ultimi (o presunti tali) giorni, sia quello di Armageddon o Deep Impact, piuttosto che il Von Trier della Grotta Magica.
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