Regia di Lars von Trier vedi scheda film
LE TURPITUDINI DEI FAGIOLI
Nella festa di nozze che si svolge in un elegante castello in Svezia con ben 18 campi da golf gli organizzatori si inventano un gioco: mettono dei fagioli in una bottiglia e i partecipanti alla cerimonia devono indovinarne il numero. Il matrimonio celebrato però va a monte nel giro di qualche ora e alla fine quanti fagioli contenesse la bottiglia resta un mistero irrisolto per tutti gli ospiti. Eccezione fatto però per Justine ( Kirsten Dunst), la neo sposa, perché lei come un’ antica profetessa, prevede e“ sa tutto”: la depressione l’ha dotata della saggezza che le consente di comprendere come la vita sia un male e che il pianeta azzurrino, chiamato “Melancholia”, che sta ballando una macabra danza intorno alla Terra, finirà per travolgerla e distruggere le specie viventi, che, sole nell’universo, lo deturpano. Il regista danese Von Trier, maestro nella provocazione, in “Melancholia” , suo ultimo film, affida a Justine il ruolo sacrale di sacerdotessa, vestale dell’Apocalisse imminente, una sorta di Cristo sui generis, nel senso che, se l’umanità è incurabile, la missione del nuovo salvatore è quella di accompagnarne la catartica fine. Il lungometraggio si propone pertanto come un’elegia funebre, in cui immagini simboliche e la musica che le accompagna dovrebbero evocare idee di lutto e di morte: risaltano le note del“Tristano ed Isotta” di Wagner e alcuni dettagli de “I cacciatori nella neve” di Bruegel il Vecchio, composizione musicale e dipinto, di cui Von Trier, recupera la sublime tragicità, ovvero il motivo ispiratore della titanica e vana lotta contro una Natura spietata in nome dell’amore o del dominio sull’ambiente. Nel dare voce alla sua conclamata depressione, autentica o meno, Von Trier edifica un edificio concettualmente ma soprattutto esteticamente coerente, per quanto fragile nella fondamenta: la situazione esemplare imbastita ad illustrare l’ultimo giorno dell’umanità si regge a stento su due pilastri, le personalità complementari di due sorelle, Justine e Claire( Charlotte Giansbourg), allegoricamente unite da una cavalcata nelle campagne. In una prima parte della pellicola viene illustrata durante la lunga festa al castello della prima la graduale metamorfosi da sposa felice e fortunata in vacillante capro espiatorio, risucchiata negli abissi dai fili infrangibili dei difetti e delle sofferenze altrui, emersi durante il ricevimento di nozze; nella seconda parte essa ritorna ormai portando su di sé il peso dell’arcaica sapienza della sacerdotessa nello stesso luogo accanto alla sorella e al cognato John( Kiefer Sutherland), ricco padrone di casa; nuda si espone alla luce dell’astro purificante e costruisce un cerchio magico con cui proteggere sé, la sorella e il nipotino ( Cameron Spurr) al momento dell’impatto. La saggezza e il coraggio di Justine necessitano dunque per emergere dell’ignoranza e della paura di Claire, prima dell’apocalisse sostenuta dai soldi e dalle certezze del marito.. L’antitesi ha una logica, tuttavia è troppo esile per sconvolgere convinzioni o smuovere emozioni: chi o cosa ispira il Cristo muliebre in abito bianco e il pessimismo cosmico di “Malincholia” è posa e, se non lo è, di cosa veramente si nutre? Se gli uomini, è risaputo, sono infidi e cinici cacciatori, di quali turpitudine si macchiano i fagioli? Per confronti e percorsi culturali suggeriti dal film cfv mio blog: http://spettatore.ilcannocchiale.it/post/2690591.html
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