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Melancholia

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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La recensione su Melancholia

di mm40
6 stelle

Melancholia sono due film e giustamente Von Trier divide la pellicola in due sezioni, separando in maniera avveduta anche la narrazione: se nel primo segmento è dal punto di vista di Justine, nel secondo è da quello di Claire. Justine e Claire sono due sorelle diversissime, ma accomunate da un elemento di fondo che rivela la mano del regista per la scrittura di entrambi i personaggi: sono infatti due donne esasperate, depresse, malate nel profondo dell'animo: sono due differenti lati del personaggio interpretato nel precedente Antichrist sempre dalla Gainsbourg. Che peraltro è bravissima, umilia letteralmente l'inefficace e iperalgida Dunst, ma a Cannes, forse per punizione verso un polemico Von Trier, daranno al film un premio soltanto e sarà per la seconda. Il cast è azzeccato (buoni il contenuto Kiefer Sutherland e Charlotte Rampling sopra le righe, simpatico cameo dell'amico Udo Kier e ruolino incisivo per John Hurt), ma i personaggi dell'autore danese sono talmente tormentati dalla propria vitalità, dalla ricerca di un senso nelle loro azioni quotidiane (insomma: talmente vivi) che indiscutibilmente agevolano la resa sullo schermo da parte dei loro interpreti. Per quanto riguarda la ricerca di un significato di fondo nell'opera, invece, la questione si fa aperta, apertissima: indubbio è che i due episodi in cui è divisa la storia facciano storia a sè, ma le perplessità sulle possibili letture di ciascuno di essi sono infinite. Se la prima metà somiglia a una rivisitazione isterica - cogliere l'accezione uterina del termine - di Festen (dell'amico Vinterberg, 1998), alla seconda spetta il non facile compito di illustrare la depressione contro cui il regista combatte, dichiaratamente, ormai da oltre un decennio. E se la prima è basata su personaggi e dialoghi, nella seconda è la tensione a farla da padrone, insieme agli effetti speciali davvero ammirevoli; è come se, insomma, Von Trier avesse voluto distanziare la parte (ir)razionale, umana, del racconto da quella naturale e pacificamente catastrofica: la follia dell'esistenza umana ritratta in prospettiva microscopica nel suo quotidiano manifestarsi concreto (sostanzialmente nessuno degli invitati alla festa di matrimonio si salva) e inquadrata quindi dal punto di vista macroscopico di una visione d'insieme naturale, elementare. E infatti, così come Justine è istintiva, egocentrica, imprevedibile, tanto giudiziosa, altruista (mette in salvo prima la sorella e poi il figlioletto) e fatalista è Claire; la prima è troppo umana (maschile), la seconda troppo naturale (materna, femminile): ritorna per l'appunto il discorso di fondo di Antichrist. Von Trier si ripete? Sì, senza dubbio, ma lo fa con un giro di parole nuove e affascinanti. Belle anche le retoriche, ma mai stucchevoli, musiche di Kristian Eidnes Andersen, fedele collaboratore del regista danese dai tempi de Il regno (1994). Sorprendono, infine, i sette minuti iniziali (Malick ubriaco? No, Von Trier quasi sobrio - sobrio lo si immagina difficilmente - che si sente romantico). 7,5/10.

Sulla trama

Lo sfarzoso matrimonio di Justine va a rotoli: la sposa ripudia lo sposo, offende e caccia il suo datore di lavoro e litiga con la bisbetica madre. Claire, la sorella, è l'unica che la sopporti; la ospita nella sua villa, con il marito e il figlioletto, mentre nel cielo passa il minaccioso asteroide Melancholia.

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