Regia di Giuliano Montaldo vedi scheda film
"Non avete nemmeno un piano di risanamento..."
"Ne stiamo discutendo con i tedeschi."
"E lei crede di ottenere tre milioni di euro sulla base di un gerundio?"
Altro spaccato industriale del Bel Paese. Meno lusinghiero del solito ma altrettanto incapace di spingersi verso la vera critica, verso la denuncia. Parte bene il film di Giuliano Montaldo: freddo, incolore, impietoso. Fotografa il mondo per quello che è, un'immensa zona grigia in cui a contare sono solo i soldi. Se li fai, ti può andar bene; se non li fai (più), sono cazzi tuoi e sono cazzi amari. Nicola Ranieri - l'industriale del titolo - lo sa bene, impara la lezione sulla sua pelle. Lo sfarzo diventa asettico, l'amore muta in gelosia, la ragione cede il passo all'ira. Ed è l'inizio della fine. Il Piemonte della Fiat sullo sfondo, una fabbrica a conduzione familiare che non riesce a rimettersi in piedi. Banche, finanziarie, fusioni, acquisizioni, tangenti (parola trita, cit.), scioperi, usura legalizzata. Materiale per un buon film di denuncia eppure, anche qui, i buoni propositi vengono improvvisamente meno. Sul più bello, il lungometraggio di Montaldo vira sul thriller e si perde per strada, abbandonando il sociale per una più rassicurante dinamica di possessione sentimentale. In circolazione c'è ben di peggio ma la scelta narrativa di comodo - così come il finale aperto - odorano d'occasione sprecata. A maggior ragione con un Favino così, che gira a mille.
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