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L'industriale

Regia di Giuliano Montaldo vedi scheda film

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La recensione su L'industriale

di lorenzodg
6 stelle

L’industriale” (2011) è il quattordicesimo lungometraggio di Giuliano Montaldo. Dopo “I demoni di San Pietroburgo”, il regista genovese gira una pellicola tutta incentrata in una città (Torino) parlando di attualità (lavoro e crisi attinenti).
Il percorso dell’uomo, figlio di un padre che si è fatto le ossa in tempi meno cupi, è di un glamour (mendi)vendicativo, un ostentare derelitto, un’indecenza post-moderna, un tremore finanziario e una postulazione della sconfitta totale. Di dentro e di fuori l’industriale (figlioccio) si immedesima bene in quello che è; fino alla fine, nonostante tutto e tutti, perde, riperde ma non vuole la perdita del suo marchio (di fabbrica). Il suo mondo familiare si può comprare, si può riavere, si può carpire, ma mai il suo essere degno del suo nome.
L’industriale Nicola Ranieri (Pierfrancesco Favino) chiede il prestito a banche per far sopravvivere la sua dignità e le Officine Meccaniche Ranieri; ma il percorso si fa arduo mentre la moglie (Carolina Crescentini) è sempre più lontana. L’orgoglio del potere, la corruzione latente, la viltà a tutti i costi soverchiano l’idea stessa del mercato (in crisi profonda) e tutto ciò che si riesce a fare è fuori da ogni contratto logico. La famiglia si autodistrugge da sola, senza se e senza ma ogni deviazione mascherata viene a galla e tutto quello che appare si annienta con un soffio di venticello.
Fa freddo a Torino, c’è una nebbia che annulla, i colori sono grevi e le immagini smorzate da tutto s’intagliano dentro gli sguardi assenti di tutti i personaggi del film che fuoriescono dal Po come fantasmi e come sembianze di anime annerite. L’artificiale delle luci notturne diventa un pennello accecante di un quadro solo contornato: una vita fatta di autisti, camerieri, servizi e servizi etti che si perde (con ragione avveduta) dentro il nulla di un distacco sociale già avvenuto. La perdita del contatto dalla realtà e il sogno della vanagloria (senza un vero fondamento di vita) rendono il percorso dell’industriale Ranieri un finale di sconfitta di molti (e forse di tutti). L’operaio della sua fabbrica (che da 38 anni ha seguito il padre come il figlio) che viene invitato alla festa finale (per l’avvenuto finanziamento azionario…rivelatosi molto vicino a Nicola) dà il gusto amaro di un brindisi di riparazione indegno e fuori tempo. Le lacrime dell’industriale sono di una famiglia (Italia) inesistente e tutto pare insulto posticcio.
Il film di Montaldo (sceneggiato dallo stesso regista con il giornalista Andrea Purgatori) tende ad essere didascalico ed opera alcuni meccanismi un po’ semplicistici, ma riesce a far riflettere in modo non furbo e a non perdere il filo del dramma. E i nomi non mancano che fanno pensare ad un’inchiesta d’effetto seppur smorzata dal tono non sempre alto del film. Certo la storia non ha la tensione giusta (in ogni momento), ciò nonostante riesce a tenere l’interesse dello spettatore in sala.
Pierfrancesco Favino è convincente e la sua buona interpretazione (sicura e piena) tiene su la pellicola in ogni suo giro di manovella.
La fotografia è degna di un film di altro livello, come le musiche.
Regia di Montaldo generosa ma poco convincente.
Voto 6+.

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