Regia di Emanuela Piovano vedi scheda film
Un progetto coraggioso, che purtroppo non riesce a essere sino in fondo all’altezza delle sue nobili premesse. D’altronde tentare di portare sullo schermo la vita di un filosofo come Simone Weil è impresa da far tremare i polsi a chiunque. A Emanuela Piovano va dato atto di avere rischiato con grande generosità nel tentativo di rimettere all’ordine del giorno del dibattito culturale la centralità del pensiero weilliano. Ciò che suscita le maggiori perplessità è l’approccio (d’altronde rivendicato con grande fermezza dalla regista), più prossimo al modello del cinema di qualità transalpino che al modello rosselliniano, ossia mettere in scena il lavoro del pensiero come differenza del cinema. Rievocando un episodio della vita di Simone Weil, rifugiatasi in campagna durante l’occupazione nazista della Francia, e del suo confrontarsi con la vita rurale e il lavoro contadino, la Piovano tenta con grande rispetto e passione di avvicinarsi alla complessità di Simone. Nel tentativo però di non escludere nessuno, la regista scivola in una confezione di superficie priva di scosse, nonostante il montaggio del maestro Perpignani e la fotografia di Raoul Torresi (Il bosco fuori). Peccato, perché al progetto avrebbe giovato, paradossalmente, meno timore reverenziale e più aggressività filmica.
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