Regia di Patrick Lussier vedi scheda film
Guida arrabbiato il nostro John Milton (Nicolas Cage). Il suo paradiso è andato perduto da anni ormai e nessun altro sentimento sembra poter sedare la sua sete di vendetta nei confronti di chi gli ha massacrato la figlia e vorrebbe ora uccidergli anche la nipotina appena nata, unico train d’union tra la vita terrena e la vita eterna. Si, perché John Milton è un’anima dell’aldilà, morto da qualche anno, da quando a causa della sua condotta di vita illegale e irregolare è stato assassinato dai gangster della zona. Milton è scappato da Satana, dall’Inferno per regolare i suoi conti: se in vita non era riuscito a provvedere alla figlia e al suo star bene, nella morte rimedierà ai suoi errori, salvaguardando la nipotina da un destino crudele stabilito da un folle visionario, da un Charles Manson dei nostri tempi, Jonah King (Billy Burke), capo di una setta religiosa dedita a sacrifici di anime innocenti al Re degli Inferi. Jonah King è l’artefice dell’omicidio della figlia di Milton, ne conserva ancora il femore come trofeo feticcio, la ragazza aveva provato a ribellarsi alla sua setta satanica (di cui faceva parte) e al suo progetto di aprire le porte dell’Inferno durante la prossima notte di luna piena.
Ma scappare dall’Inferno equivale a scappare dalla cella di un pericoloso penitenziario: parte subito la ricerca all’evaso e alle sue calcagna viene spedito il miglior agente che Lucifero abbia a disposizione, il “Contabile” (William Fichtner) o il “Commercialista” – visto in originale, non so quale via sceglierà l’empio doppiaggio italiano per nominare il personaggio. E nella fuga si ha bisogno di aiutanti e la scelta di Milton ricade su una giovane donna, dotata di palle, cervello e forza: la cameriera Piper, sarà lei l’eletta, la predestinata, a cui spetterà il compito di garantire l’happy end finale e il ritorno alla speranza.
Immagino conosciate il senso dell’espressione “guilty pleasure”, piacere colpevole. Il piacere colpevole è quella sensazione di appagamento mentale che ti rapisce anche quando sai di essere di fronte ad un pessimo b-movie, ad un film che non sai bene come etichettare perché pot-pourri di tanti elementi sconclusionati, di generi cinematografici differenti frullati e shackerati in continuazione. Come definire il film? Sicuramente non è un film di redenzione in senso classico… Horror? Splatter? Action Movie? Road Movie? Formativo? Western Postmoderno? No, niente di tutto ciò. Le tematiche corrono e si rincorrono in continuazione, i generi si stravolgono e il 3D accentua la carica visiva e visionaria che Patrick Lussier da al suo lavoro. Non è un effetto posticcio, non è costruito a tavolino e applicato a film concluso e lo spettatore se ne accorge, ne avverte la differenza e viaggia insieme ai proiettili della “Killer di Dio”, la potente arma che Milton è riuscito a procurarsi nell’aldilà. Certo, la computer graphic si avverte in alcuni punti e basti vedere la scena dell’esplosione del camion che trasporta l’idrogeno combustile del futuro per rendersi conto che si è fatto ricorso a dei modellini in scala. Quello che più conta è il risultato ottenuto: il regista fa il verso a Robert Rodriguez nelle scene di violenza, prende l’ironia di Quentin Tarantino nel costruire il rapporto tra Milton e Piper, cita Peter Yates nelle scene di inseguimento in auto per strada e autostrade americane e, soprattutto, non si prende mai sul serio. Pur rimanendo padrone della macchina da presa, gioca con il copione e lo esaspera, sfiora il ridicolo ma non è mai eccessivo. Anzi, più il ridicolo viene chiamato in causa e più si delinea la psicologia (scarsa ma non è elemento fondamentale per il film) dei personaggi, più si esasperano i toni e più emerge una chiara vena satirica anche nei confronti delle istituzioni: il Contabile che “gioca” con il distintivo dell’FBI, la polizia che preferisce inseguire un morto piuttosto che concentrarsi sul vero criminale, la corruzione delle forze dell’ordine che seguono due differenti padroni, l’impossibilità di gestione dei sentimenti da parte dei vivi e la sconvolgente solidarietà/bene dei morti, dei dannati dell’Inferno. Si ha più fantasia nel rappresentare la Louisiana (ancora una volta il sud degli Stati Uniti come terreno del male) dedita al culto dei demoni che l’Inferno stesso, dove il fuoco è solo elemento di barriera e la sua tortura diventa più psicologica che fisica: il fuoco divide dalla vita e dagli affetti, non brucia e non tortura. E si ribalta anche un’altra concezione: si parte da un luogo comune (Lucifero cattivo) e si arriva a un’ottica descrittiva fuori dai cliché (Lucifero, ironico, vestito di rosso e non amante dei sacrifici umani), come se il Male infernale non fosse poi così “male”, sono peggiori i sentimenti deviati che regolano il “Bene” terreno. Piper non ha una relazione sentimentale onesta, il suo fidanzato ne sfrutta lavora e amore, tradendola e malmenandola; Jonah King non sa neanche cosa sia l’amore, la sua mente è troppo ottenebrata dalla sua smania di potere, dall’idea di essere il tramite tra due differenti dimensioni. Esiste più solidarietà tra Milton e Piper, che costruiscono un rapporto quasi filiale, e tra Milton e Webster, suo unico amico rimasto in vita e che sarà utile al raggiungimento della vendetta finale.
È ovvio che il film viva anche di momenti surreali, destinati però ad essere di culto, come la scena in cui Milton continua a far sesso con una cameriera di un motel di periferia mentre attorno a lui si scatena una violenta sparatoria di cui egli è il bersaglio principale. Oppure, nel finale, si potrebbe citare la scena particolarmente trash in cui Milton beve della birra usando come calice parte del cranio di Jonah King.
Il piacere estetico della visione non richiede ai personaggi di essere credibili, altrimenti già dopo un paio di minuti si abbandonerebbe il film, è impensabile ad esempio che una ragazza aggredisca il proprio fidanzato con cotanta forza e violenza (come si vede fare a Piper) o che una cameriera (collega di Piper in un bar gestito da un vecchio grassone pervertito) possa proporre del sesso ad un cliente in maniera così esplicita (ulteriore nota: la cameriera è più che svampita e nel gioco dei rimandi la si chiama Norma Jean, nonostante di Marilyn fisicamente non abbia nulla). Anche se occorre rilevare come siano particolarmente credibili le scene che fanno riferimento all’universo dei riti satanici e alle credenze delle sette: le notti di luna piena e i sacrifici umani, le riunioni in chiese sconsacrate e la severa gerarchia che regola i rapporti tra adepti sono elementi tipici per quel sottobosco malato, così come il simbolismo ad esso collegato. E non è un caso che i sacrifici avvengano in prossima di un albero dove anni prima avvenivano le impiccagioni.
E sempre a proposito di religione, interessante seguire una delle visioni inerenti alla poetica del poeta e scrittore britannico John Milton, autore nel XVII secolo dell’opera simbolica “Paradiso perduto”, dove già si accennava ad un Satana ribelle per scelta e per rottura degli schemi della Monarchia che imbrigliavano il popolo. Il Milton del film può essere paragonato al Satana del Milton scrittore: dopotutto, al di là della vendetta, il film parte proprio dalla ribellione alle regole di un sistema e la conseguente fuga.
E ricorrendo a elementi da road movie, corse e inseguimenti, non possono mancare le auto in scena. Ai bolidi moderni sono preferite le auto classiche. Due modelli su tutte: una Dodge Charger 440 (di seconda generazione) e una Chevrolet 454, due auto che hanno segnato l’immaginario americano. Basti ricordare che la prima è la mitica macchina usata nel telefilm “Hazzard”, a cui deve il nome di “Generale Lee”. Mentre la Chevrolet 454 è protagonista di uno dei capitoli di “Fast & Furious”. E i due ricordi non sono casuali, come non lo è il passaggio da un modello all’altro, funzionali all’evolversi della storia.
Fa un certo effetto vedere in scena Nicholas Cage biondo ma l’attore si presta bene alla parte: il suo 1.83 m di altezza (e non è un vezzo citare l’altezza) è perfetto per un ruolo tra il macho dannato e il supereroe dell’aldilà. Bella Amber Heard ma appare difficile credere al suo personaggio; sottoutilizzato è il ghigno sardonico di William Fichtner, così come sottoutilizzati appaiono anche David Morse e Tom Atkins, in due ruoli quasi cameo (l’amico Webster il primo e il capo della polizia il secondo). Poco più di un Ken tutto mascella Billy Burke. Stupisce che il film sia stato un flop negli Stati Uniti, gli elementi per piacere ad un pubblico di massa c’erano tutti.
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