Regia di Benedek Fliegauf vedi scheda film
Thomas e Rebecca sono due bambini, tra loro nasce un forte sentimento, un amore ancora acerbo e platonico ma già in odore di eternità, quel tipo di amore narrato nel mito e nella poesia, non soggetto ai colpi del tempo e della distanza. I due bambini infatti si separeranno per ritrovarsi solo 12 anni dopo, finalmente pronti a vivere il loro grande amore, la loro eternità.
Thomas è un biologo e un attivista, vuole sabotare un centro di clonazione genetica, ma lungo la strada perde la vita in un incidente, lasciando Rebecca sgomenta dal dolore. Così lei (in barba agli ideali dell' amato) si fa trapiantare nell' utero un clone di Thomas.
Ci si aspetterebbe a questo punto una riflessione su temi importanti come l' inaccettabilità della morte e la genetica, sul mito di Edipo, su tabù ancestrali come l' incesto, ma niente di tutto questo. Il regista ungherese manca totalmente di coraggio e sincerità: il mito di Orfeo e Euridice è funzionale solo a descrivere " l' entità" dell' amore che lega i due protagonisti, Rebecca si trasforma in una madre famelica che si consuma nella continua insoddisfazione del proprio desiderio, tenendo il figlio- amante prigioniero e soffocato in una casa-utero, ma i continui (e spesso forzati) e rassicuranti " inni alla vita" non fanno altro che azzerare l' inquietudine che la storia dovrebbe suscitare, banalizzando tutto in un ottica convenzionale e retorica, ammantata di poesia, in cui lo spettatore non può fare altro che sentirsi preso in giro.
Il momento in cui Thomas/clone apprende la verità è un vero capolavoro di ipocrisia, in cui il regista si sforza di decolpevolizzare i suoi protagonisti per non incorrere nelle ire dei benpensanti. Rebecca finisce per essere mero strumento di riproduzione, in una svilente identificazione col proprio utero, e a poco serve il ringraziamento che alla fine Thomas le rivolge per avergli dato la vita e il tentativo di restituirle la sua interezza di donna e persona, chiamandola per nome. Voto 3
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