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Scream 4

Regia di Wes Craven vedi scheda film

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Paul Hackett

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La recensione su Scream 4

di Paul Hackett
6 stelle

Sidney, la protagonista dei primi tre episodi della saga di "Scream" ritorna nella natìa Woodsboro, dove incontrerà i suoi vecchi amici Gale e Dewey (incomprensibilmente "Linus" nella versione italiana) ma anche una nuova, pericolosa, incarnazione dell'assassino Ghostface: chi si nasconderà questa volta dietro l'agghiacciante maschera da "Urlo" di Munch? Da fan sfegatato della serie diretta da Wes Craven, ho atteso con grande curiosità e trepidazione questo quarto episodio che, tutto sommato, non mi ha deluso. Intendiamoci, siamo lontanissimi non solo da quell'inestimabile capolavoro che fu il primo "Scream", ma anche dal suo eccellente sequel del 1997: qualitativamente direi che siamo più dalle parti della passabile terza puntata, per un dignitosissimo (ed intelligente) intrattenimento, particolarmente godibile per chi ha già buona dimestichezza con i fatti, le situazioni e i personaggi degli episodi precedenti, dei quali viene ripresa anche la struttura di "film nel film" e di opera che è contemporaneamente horror e parodia decostruttiva e decostruita dell'horror. Rispetto ai primi tre film, però, "Scream 4" segna una sostanziosa discontinuità: non si tratta di un sequel, ma di una sorta di dichiarato remake con regole aggiornate al "nuovo" orrore dei nostri giorni (con frequenti rimandi nostalgici ai "mitici" anni '90 e frecciate lanciate al trend iperviolento e allo stile da videoclip dei vari "Saw" e soci). "Scream 4", in questo modo, arranca un po' pesantemente per buona parte della sua durata, contraddistinta da un forte senso di deja vù, riuscendo a decollare davvero solo nell'ottimo (anche se invero un po' troppo improbabile) finale, che nasconde un potente (ma non troppo originale: i "quindici minuti di notorietà" li aveva già teorizzati Warhol una vita fa) atto d'accusa nei confronti di una generazione assuefatta al reale/irreale di internet e al desiderio di notorietà elevato a unico ed ultimo fine dell'esistenza umana. Niente di nuovo sotto il sole, quindi, ma la zampata sarcastica e (sanamente) moralistica e morale di un vecchio leone come Wes Craven che, coadiuvato per lo script dall'antico sodale Kevin Williamson, qui sembra rivendicare beffardamente l'orgoglioso anacronismo delle proprie opere. Tre stelle.

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