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Scream 4

Regia di Wes Craven vedi scheda film

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La recensione su Scream 4

di callme Snake
4 stelle

In un biennio segnato da piccoli grandi ritorni al classico (Sam Raimi con Drag me to Hell, Joe Dante con The Hole, George Romero con Survival of the Dead, Roman Polansky con The Ghost Writer, John Landis con Burke & Hare, John Carpenter con The Ward), anche Wes Craven prova a portare indietro la mano del tempo, e lo fa tornando al primo capitolo di Scream.
Il problema, ed è un grosso problema, è che Raimi, Dante, Romero, Polansky, Landis e Carpenter hanno una concezione del classico ormai nettamente contrapposta a quella di Craven. Per Craven è classico il gioco autoreferenziale da lui stesso messo in moto con la saga di Ghostface, per i registi sopra citati è all'opposto la riscoperta di un cinema semplice, a tratti persino naif, che non cerchi l'originalità a tutti costi, il gioco esplicito dei rimandi fini a se stessi, l'autorialità come pretesa di qualità. Un cinema che tenta al contrario un percorso nuovamente narrativo, in cui l'importanza risiede nella bellezza e nella difficoltà di raccontare una storia semplice, coinvolgere una platea e magari lasciare negli spettatori più volenterosi qualcosa che non sia il solito masturbatorio piacere della "caccia alla citazione" (anche con la consapevolezza che a questo ci pensano già schiere di giovani registi formatosi proprio sulla scia di Scream).
Ma al dì là di tutto questo, anche se si sentisse ancora il bisogno di un cinema horror esplicitamente autoriflessivo e citazionista, Craven con Scream 4 toppa proprio là dove non glielo si può perdonare, nei meccanismi della tensione e dell'ironia, qualità che avevano salvato i precedenti sequel (e chi critica Carpenter per gli "spaventi facili" di The Ward o per la sceneggiatura poco riuscita non si permetta di ammirare Scream 4. Almeno Carpenter ha fatto degli spaventi a schiaffo e dei difetti di sceneggiatura degli elementi semanticamente significanti ai fini del suo discorso, e senza nemmeno sbatterlo in faccia allo spettatore, ma con la solita, lucida, sottilissima ironia).
Da parte sua Kevin Williamson sforna una sceneggiatura priva di qualsiasi idea interessante (altra differenza rispetto ai primi tre episodi, che almeno godevano di twist e trovate perlomeno simpatiche), semplice calco tecnologicamente aggiornato del primo episodio. I dialoghi sono piatti, i personaggi accumulati e dimenticati lungo un percorso narrativo usurato.
Non c'è nulla che risollevi il livello generale di un film spento (come tutti gli ultimi lavori del regista: difficile credere che Craven abbia diretto Il serpente e l'arcobaleno. E pensare che un tempo era tra i miei "eroi" cinematografici, prima che si montasse eccessivamente la testa), non abbastanza profondo da trascendere la sua manifesta cerebralità e non sufficientemente divertente e modesto da essere considerato un "onesto film di genere". Qui non c'è proprio nulla di onesto. Con la scusa della riflessione sul fenomeno remake, Craven e Williamson tentano di venderci la solità brodaglia, ma privata del divertimento e della carica (anche teorica) che il capostipite, nel 1996, portava con sé. E degli orribili remake di cui vorrebbe essere un saggio-parodia porta con sé almeno l'inutilità. Allora è proprio vero che il gioco è bello quando è corto.

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