Regia di Phyllida Lloyd vedi scheda film
Dietro il ferro c’è una donna, e dietro una grande donna c’è spesso un grande uomo, per ribaltare il detto comune. Oggetto speculare e complementare di J. Edgar, The Iron Lady sceglie il medesimo percorso eastwoodiano: una biografia della memoria, intima prima che storica, popolata di fantasmi e rimorsi. Dominata, soprattutto, da un amore troppo forte per finire: quello tra Margaret Thatcher e il marito Denis (un grandissimo Jim Broadbent, di nuovo compagno sempiterno dopo Iris. Un amore vero), allucinazione consapevole che accompagna la Lady mentre scivola nella senilità e il passato si fonde con il presente. Come Hoover, anche Maggie è animata dal fuoco sacro dell’ambizione, apparentemente rivestita d’acciaio fin dall’adolescenza, incapace di piegarsi o arrendersi, sorda ai consigli altrui. Purtroppo Phyllida Lloyd non è Clint, e il suo biopic si limita a una confezione educata per l’interpretazione monstre di Meryl Streep, il cui lavoro sulla postura, sulle movenze e soprattutto sulla voce della Lady di Ferro (non solo, da americana, sull’accento britannico ma anche sulle intonazioni e mutazioni del parlato) ha del miracoloso. La Storia resta fuori, appiattita su poche e poco efficaci immagini di repertorio, perché in primo piano c’è solo lei, la signora Thatcher. Personaggio più sognato che reale, cui la finzione cinematografica, piegandone l’anima di ferro sotto i colpi della vecchiaia, regala un’umanità inedita.
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