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The Iron Lady

Regia di Phyllida Lloyd vedi scheda film

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La recensione su The Iron Lady

di lorenzodg
6 stelle

The Iron Lady” (id., 2011) è il secondo film della regista Phillida Lloyd. Proveniente dal teatro e dall’opera, ha messo in scena il musical “Mamma mia!” per anni. Dal musical è passata al cinema dirigendo Meryl Streep nell’omonimo film (2008) con colonna sonora di grande richiamo (Abba e Afrodite).
    Al suo secondo lungometraggio la regista inglese opera un passo ‘british’ sul ta(o)cco di classe della donna che per più di due lustri è stata primo ministro e ha dettato la storia (nel bene e nel male) e si affida sempre alla Streep che tiene il film fino alla fine con un’immedesimazione nel personaggio a dir poco strabiliante: una prova che rimarrà negli annali e nelle icone da cartellone del cinema. Un concentrato di movimenti, tic, sguardi, tocchi, calpestii, rumori, cenni, apostrofi, voci, sedute, camminate e silenzi, con una bravura fuori paragone. Meryl Streep non è un’attrice ma un corpo vivo con animo multicolore che s’addentra in un luogo (misterioso) per mascherare il personaggio a lei più congeniale (cioè tutti). D’altronde l’ennesima candidatura all’Oscar (alla diciassettesima!) per non contare la miriade di altri premi. Quest’anno si è mosso anche il Festival di Berlino dove le verrà consegnato l’Orso d’Oro alla carriera e un omaggio con una retrospettiva. Mi aspettavo una grande ‘performance’ e tale si è rivelata: la Thatcher viene risucchiata e inglobata nel trucco e nella mimica facciale. Senza mezze misure e con la modestia che contraddistingue la sua entrata in scena (si veda  in “Radio America” ultimo grande epilogo di Robert Altman dove par confondersi nel cast ma emerge in assoluto) la donna del New Jersey conquista il pubblico con dolcezza e poca vanità. Un elogio dovuto (e risaputo) nell’atto a lei più congeniale: essere se stessa parlando di altri, unire il piacere di esserci con umiltà.
    Detto ciò, la pellicola di Phillida Lloyd è contraddittoria, pasticciata, imbalsamata, di parte e senza un vero gusto narrativo. I fatti ignorati, le parvenze saltate e la maestria teatrale diventa sinonimo di piattezza ‘storica’. Poca convinzione e molto convenzionale nelle scelte nette: forviante ed accondiscendente nel comodo modo di far vedere poco (e male) nell’esterno  e troppo (e male) nell’interno della famiglia. Alla lunga il duetto tra la moglie (e mamma) Margaret e il marito Denis (Jim Broadbent) diventa soporifero e inconcludente; e il bianco(re) finale per l’assenza dalla vita (e dal set) di Denis diventa un ‘effetto speciale’ vuoto e fuori contesto. Avere un cast in forma (e in formissima nel caso della Streep) è una fortuna per un film ma la regista britannica spreca tutto banalizzando il contesto degli eventi e sprecando le parole in bocca ai vari personaggi. Il lacrimevole (indotto –la figlia Carol-) e il petulante modo di inquadrare rendono la pellicola debole e poco incisiva. Peccato perché Meryl Streep avrebbe meritato ben altra sceneggiatura e l’agiografia (televisiva) è dietro l’angolo (della ripresa) in ogni momento. Assecondare un personaggio senza un minimo  senso critico e pilotare lo spettatore con (quasi inutili) intermezzi d’epoca e flash-back quasi ossequiosi e inchinati. Dispiace dirlo (per il cast tutto) che il film tende a qualcosa di ‘imbarazzante’ e di ‘svagato’: quasi quasi si preferiva un didascalismo commisurato (e diretto).
    La legione plaudente non trova nello spettatore (di turno) un’ovazione convinta (che rimane sola e ‘misurata’ per la grande Meryl). Un film che si perde dopo poco meno (o poco più) di mezz’ora: dopo diventa monocorde, piatto e spento.
    Se si potesse vedere la Meryl in un muto che si muove e si dimena come la ‘lady di ferro’ (per trenta minuti), basterebbe; applausi (con qualche fischio all’americana) e un’alzarsi di tutti. Nel frattempo l’aspettiamo a Berlino (per l’ultimo e non ultimo premio).
    Voti: 10 + per la Streep; 4 alla sceneggiatura e montaggio; 6- al film (non per suoi meriti).

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