Regia di Phyllida Lloyd vedi scheda film
Dopo il biopic sulla regina Elisabetta e la relativa magistrale e pluridecorata interpretazione di Helen Mirren, dopo Blair interpretato efficacemente in piu' occasioni dal bravo Michael Sheen, poteva forse mancare un film sulla piu' temuta ed odiata donna inglese degli anni '80? Manco a dirlo, tanto piu' se nel ruolo della protagonista viene stuzzicata la piu' celebrata interprete cinematografica degli ultimi trent'anni.
Cosi' Meryl Streep finisce per divenire l'unica plausibile ragione del film, il pregio ma anche il limite evidente di una pellicola che, a mio avviso, sbaglia nell'impostare il racconto su una Thatcher ottuagenaria dei giorni nostri che rivive i fantasmi del passato e in particolare disputa una partita a rimpiattino con l'ombra invadente di un marito certo amato ma che, volente o nolente, gli ha sempre fatto da paggio obbediente.
Certo in questo modo lo spettatore puo' rimanere affascinato dall'ennesima dimostrazione di finezza interpretativa di una Meryl davvero in parte, perfetta persino nel mimare la camminata stentata ma ancora arzilla di una donna da sempre in battaglia, una femmina che si e' alimentata e ha tratto giovamento dal combattimento contro una societa' certo molto occidentale, ma che comunque fino a quel momento non aveva mai nemmeno pensato di attribuire poteri cosi' vasti ad una donna se non quelli previsti da una successione dinastica regale legata alle leggi immodificabili della corona regnante.
La regista Phyllida Lloyd, brava, brillante e molto a suo agio tra le ga(y)e isolette greche di "Mamma mia", qui appare un po' troppo dimessa e, come accennavo, lascia troppo spazio all'attrice e alla Thatcher anziana che annega nei ricordi, invece di focalizzare maggiormente l'attenzione sugli anni controversi del suo governo senza scrupoli, che ha fatto dell'Inghilterra uno Stato ricco e avido ma pieno di gente povera, quella massa che grandi autori come Loach, Leigh e Frears hanno scelto di rendere protagonista dei loro appassionati ritratti neorealisti.
La Meryl si acchiappa l'ennesima candidatura (ma personalmente mi auguro che la statuetta venga attribuita alla mia amata Glen Close, da sempre eternamente, ingiustamente seppur certamente non di proposito schiacciata dalla rivale, e che in Albert Nobbs - invero non tanto migliore di questo film - si impegna nel ruolo piu' agognato da una vita di palcoscenico e cinema di alto livello) e duetta con il gigante Jim Broadbent in siparietti gustosi e di grande levatura recitativa. Tutto il resto scorre bene, ma senza lasciare tracce indelebili.
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