Regia di Alan Parker vedi scheda film
Ecco un altro film che ha lasciato il segno in quelli della mia generazione.
Ecco un altro film che, se capita di fare zapping distratto in una sera di noia esistenziale e televisiva, ha il potere di inchiodarmi allo schermo fino alla fine, come mi è già capitato di dire per Gli intoccabili (1987) di Brian De Palma.
L’anno di produzione è l’88. La regia è dell’inglese Alan Parker, autore anche di Fuga di mezzanotte del ’78, di Saranno famosi dell’80, di The committments del ‘91; gli interpreti principali sono Gene Hackman, Willem Dafoe e Frances McDormand. Il film si ispira a fatti veri avvenuti nella contea di Neshoba, proprio nel Mississippi e descrive con una certa fedeltà il clima di ordinario razzismo del sud, i modus operandi del Ku Klux Kan, le connivenze dei latifondisti, le complicità della polizia locale (spesso, se non sempre, reclutata fra prezzolati gaglioffi), l’indifferenza della comunità bianca, la distaccata faziosità dei tribunali.
Siamo nella calda estate del1964, un secolo dopo la fine della guerra di Secessione. Tre giovani attivisti per i diritti civili (due ebrei e un nero), calati dal nord semplicemente per istruire i neri a iscriversi nei registri elettorali e contribuire a cambiare le cose (una campagna avviata da Martin Luther King), svaniscono nel nulla. Il fatto desta l’attenzione dei media e costringe l’FBI a mandare due agenti: il navigato Anderson (Hackman), esperto di maneggi sbrigativi e di metodi di indagine poco ortodossi (ex sceriffo della zona) e Alan Ward (Dafoe) un impettito wasp fresco di accademia, rigidamente ligio ai protocolli, idealista fervoroso quanto inefficace.
Il gioco dei contrasti è intrigante: quello fra gli agenti, innanzitutto, ma anche quello fra la omertosa polizia locale e i due federali; quello fra gli amministratori della giustizia e la mentalità diffusa; quello fra le due comunità coi neri assetati di giustizia ma pietosamente rassegnati (e non collaborativi perché terrorizzati dalle rappresaglie) e i bianchi tracotanti, ottusi, ferocemente abituati a prevalere, tutti simpatizzanti del Ku Klux Klan, compreso il sindaco Jessup, interpretato da R. Lee Ermey (il sergente istruttore di Full Metal Jacket). i due federali rinvengono l’auto degli attivisti in una palude e intensificano le indagini: un giovane nero che fornisce loro qualche indizio subisce rappresaglie feroci; la moglie del vicesceriffo Pell (McDormand) indica agli agenti il luogo di sepoltura degli attivisti assassinati e subisce un feroce pestaggio da parte del marito. L’indagine comunque subisce una svolta: il rigido Ward si converte con riluttanza ai metodi spicci del collega (coercizioni e intimidazioni) e gli autori degli omicidi con i loro complici vengono catturati, processati e condannati, non per omicidio ma per violazione del diritti civili e cospirazione.
Tutti i fatti raccontati e i personaggi descritti, ribadisco, si ispirano a fatti veri (accaduti a Nashoba) e a personaggi esistenti; ma il film regge dentro una narratività che non cade nel cronachismo didascalico e conserva una sua potenza, nonostante gli inevitabili manicheismi, nonostante la prevedibilità degli esiti, nonostante certi luoghi comuni come la rassegnazione della comunità nera che cerca nella religione la forza di resistere: ma siamo agli inizi degli anni ’60, il discorso di Luther King - I have a dream - dell’estate del ’63 non è arrivato nelle piantagioni di cotone e i movimenti di emancipazione cominciano timidamente con l’invio di attivisti suicidi nel sud (dove ancora oggi sono esposte in locali pubblici le bandiere confederali secessioniste).
Nella palude in cui furono gettati i tre attivisti del nord furono rinvenuti altri otto cadaveri sconosciuti di neri assassinati (che non erano stati oggetto di attenzione di nessuno).
Il film è incalzante come un western, crudo, paurosamente inquietante (perché drammaticamente attuale coi rigurgiti razzisti che dilagano oltre i confini dell’America che vota Trump). Molto efficace, anche se un po’ costruita e calcata, la contrapposizione antitetica fra i due federali: il duro e il fighetto, Callagan e Harvard (ma poi Parker mette in bocca a quest’ultimo pivello inconcludente il messaggio - inevitabilmente retorico - “è colpevole chiunque veda accadere queste cose e finga di non vedere [...]. Forse lo siamo tutti").
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