Regia di Agustí Villaronga vedi scheda film
Pa negre: pane nero, salutare, ricco di fibre, di crusca, di semi colorati di ogni genere che sembrano finti e invece là fuori nella giungla dell'acquisto compulsivo ci convincono essere generatori di benessere (probabilmente più mentale che fisico) in un giorno d’oggi che continua per inerzia ad essere epoca di opulenza e dunque di diete e di mode salutiste, di ricette televisive elaborate e fantasmagoriche, ma pure di ricerca di un apparire fisico che sfiori la concezione di purezza grazie ad una tonicità muscolare armoniosa; epoca di dieta mediterranea e ricerca ossessiva di una perfezione che sconfigga tempo che avanza e vecchiaia che incombe; e ciò nonostante la crisi economica dilagante e senza sosta che ci fa rinunciare a molte cose ma non alla bellezza fisica, esteriore, all'apparire.
Neanche settant'anni prima altro "pane nero", questa volta duro come pietre ed insapore, ma ingurgitato con avidità quando la fame e’ altrettanto nera in un dopoguerra spagnolo funestato dalla miseria, da una dittatura assoluta: paesi arroccati in grappoli di case in pietra abitate da donne, vecchi e bambini, dato che gli uomini sono morti, o sono stati reclutati dal regime, o si sono dati alla macchia come oppositori.
In questo secondo e ben più drammatico contesto, addentro ad un bosco fitto e buio ha luogo un agguato mortale agghiacciante, sanguinoso, sadico che ha il suo epilogo con la rovinosa caduta di una carrozza, assieme al suo cavallo bendato, al cadavere ancora caldo dal cranio fracassato e ad un bambino impaurito, il povero Culet, nascosto nel cassone; tutti giù dal ciglio ripidissimo di un burrone senza fine.
Testimone dello schianto e di quelle morti è un bel bambino decenne, Andreu, figlio di un contestatore anarchico cacciatore ed allevatore di uccelli, che viene subito additato come il colpevole di un omicidio premeditato, dato che poco tempo trascorre dal sanguinoso evento per escludere l’iniziale ipotesi della tragedia.
Questo incipit impressionate e fantastico al tempo stesso, costituisce il presupposto per consentire al bravissimo (e molto premiato in questa occasione) regista iberico Villaronga di calarci perfettamente in quegli anni di oscurantismo, povertà e miseria: un epoca di orrori e massacri visti con gli occhi infantili, disincantati ma lucidi di un bambino, dove la dimensione “dark” di una vita di stenti e incertezze si tinge dei colori accesi e favolistici di una visione gotica in cui le spiegazioni dei misteri e delle morti vengono attribuite alla presenza di un fantasma delle caverne: il tanto temuto Pitourlia che da sempre impaurisce i bambini del villaggio e che nasce da una brutta vicenda di intolleranza nei confronti di un giovane omossessuale, seviziato e castrato come un maiale dal branco, un'orda assetata di sangue, un manipolo di compaesani ignoranti ed invidiosi.
Povertà, cattiveria ed ignoranza si arricchiscono e maturano fino ad esplodere nel sangue della vendetta premeditata, che si tinge di un alone di mistero e di orrore nella mente e nei racconti dei ragazzi che si trovano a sopravvivere in quei territori aspri ed inaccessibili e che preferiscono trovare spiegazioni nell’irrazionale piuttosto che scendere a patti con la dura realtà che deriva da una vita condizionata dalla miseria e dalla fame di una società che ha appena superato una guerra per finire nelle morse di una dittatura (e dunque dalla padella alla brace).
Il film mantiene in tutto il suo svolgimento un alone di mistero che ricorda moltissimo le atmosfere piu’ riuscite del cinema di Guillermo De Toro (penso più a La spina del Diavolo che al Labirinto del Fauno), finendo per superarlo in qualità grazie ad una storia che appare molto più saldamente legata alle miserie condizionate da fame e bisogno. Tutto il mistero si snoda e in un certo senso si svilisce infatti intorno a ben più sordide e terrene storie di ritrosie e insoluti contrasti familiari, invidie, pettegolezzi e antichi risentimenti che provocano vendette che sfociano nel sangue. Nulla di nuovo e di incredibile nell’ambito di episodi di cronaca nera che hanno spesso fatto la storia e spianato il terreno a leggende popolari che si rifugiano nel fantastico per essere più efficacemente tramandate di padre in figlio.
Ricostruito minuziosamente e forte di una scena iniziale effettivamente scioccante e girata con rara perizia e realismo, Pan Negre, assieme a tutta l’opera del suo eccelso regista, rimane una perla inaccessibile nel nostro Paese, sepolta nel lugubre e sempre più popolato cimitero dei film dimenticati, che si impreziosisce sempre più vergognosamente di una fitta schiera di capolavori censurati da superficialità e gretto calcolo commerciale.
Uscito oltre un anno e mezzo orsono in Francia, il film bellissimo viene riproposto in questi giorni dalla "Cinemateque de Nice" nella rassegna "Le meilleur du cinema européen": ....appunto...il meglio del cinema europeo...che in Italia, come in questo caso, spesso manco arriva. Tristezza infinita per tutto ciò, che si unisce ad una certa inquietudine quando NON scorgo nei titoli di coda un qualcosa che mi faccia capire, a me che non conosco lo spagnolo, che "nessuna violenza è stata procurata al povero cavallo della agghiacciante realistica scena iniziale". Ma si tratta senz'altro di una mia distrazione, sono certo che è così, non può essere diversamente.....
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