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Pan negro

Regia di Agustí Villaronga vedi scheda film

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La recensione su Pan negro

di OGM
8 stelle

Il pane nero è senza virtù, né anima, è morto. È la sostanza coriacea e inerte, sporca di miseria, che tocca a coloro i quali, mancando di risorse materiali, sono tenuti moralmente in ostaggio dai potenti, rimanendo nell’impossibilità di seguire i propri principi e coltivare i propri ideali. Tra i beni che sono loro negati vi sono anche quelli fondamentali del rispetto per se stessi, e del diritto a vivere e morire per qualcosa che non sia lo squallido frutto di un compromesso stipulato per sopravvivere. Nella Catalogna del primo dopoguerra, il piccolo Andreu, un ragazzino di campagna, figlio di un’operaia tessile e di un militante comunista, è testimone di una serie di atrocità, viste con i suoi occhi o sentite raccontare dalla gente del villaggio; di queste, però, coglie soltanto la parte dolorosa, quella che le circonda della nobile aura del sacrificio, in cui la vittima è innocente, ed il carnefice non è mai un colpevole in carne e ossa. Culet, il bambino che all’inizio della storia viene fatto precipitare con la carrozza giù da un dirupo, è stato ucciso da un mostro dei boschi di nome Pitorluia, che quasi certamente è un fantasma. Se suo padre viene arrestato ed incarcerato, è soltanto per via della sua fede politica, che lo spinge a lottare per un futuro migliore.  Il male è messo in ombra dal bene: il ragazzo affetto da tubercolosi, ospitato presso un convento di frati,  è un uccello che muove le ali in attesa di spiccare il volo, la ricca signora Manubens, che lo copre di attenzioni e di regali, è soltanto una donna infinitamente buona, che lo ama in maniera disinteressata, come fosse suo figlio. Andreu ignora le trame che si nascondono dietro l’apparenza di una vita che a lui sembra sì difficile, però governata da regole chiare e sostenuta da una retta coscienza. I suoi occhi di bambino non vedono il lato più terribile della verità, in cui l’orrore della leggenda è una realtà non solo molto concreta, ma anche vicinissima a lui. Il mondo rurale, con le sue foreste piene di mistero e di nascondigli, e con quegli animali che incarnano l’anima stessa della natura, si presta ad essere confuso con un mondo fiabesco, in cui l’incubo può essere relegato nel regno degli incantesimi, e svanire con un colpo di bacchetta magica. In fondo il paese della cuccagna esiste: è quella tavola imbandita di ogni ben di Dio a cui Andreu è invitato a sedersi in casa Manubens, bevendo cioccolata, e mangiando burro, dolci e pane bianco. In quel momento, si vede nel classico ruolo del bambino povero, ma buono, appartenente ad una famiglia sfortunata però onesta, a cui il destino non può mancare di riservare il meritato premio. La fierezza per la propria condizione e la fiducia nella giustizia lo traghettano indenne attraverso una vicenda che, a sua insaputa, è in realtà profondamente abbietta, e squallidamente falsa. Andreu è mosso da uno scatto d’orgoglio, nel rifiutare un’offerta del suo maestro di scuola: la possibilità di essere adottato e sostenuto finanziariamente durante gli studi, una proposta che è certamente allettante, però odora di corruzione, oltre ad avere lo svantaggio di strapparlo alla sua casa ed al suo ambiente d’origine, il solo in cui sia in grado di riconoscersi. Andreu non condivide la malizia adulta della sua cuginetta, che dimostra di conoscere i risvolti più cupi dell’esistenza, e li tratta con disinvoltura, come in un gioco. Il ragazzino non se ne lascia contagiare, perché si sente interiormente sano, come è convinto che siano anche i suoi genitori, sua nonna, sua zia. Intorno a sé irradia la benefica illusione di un universo in cui si può combattere, sinceramente uniti e con cuore puro, contro le avversità, e sconfiggerle, perché la vittoria  - contrariamente a quanto gli viene insegnato a scuola – spetta sempre e comunque ai migliori. La regia di Villaronga ci rende costantemente partecipi di questo punto di vista limpido e positivo,  in cui la morte, la colpa e la menzogna sono spettri remoti, che rimangono fuori dal quadro. Insieme al piccolo Andreu crederemo, fino all’ultimo, che il pane nero di cui è costretto a cibarsi sia soltanto duro e poco saporito; solo alla fine scopriremo che è anche marcio. Il suo colore è quello della materia putrida, di cui si viene sadicamente imboccati quando si è troppo deboli per potersi ribellare, e quando, per tirare avanti, non si intravede alternativa alcuna.

 

Pa negre è stato il candidato spagnolo al premio Oscar 2012 per il miglior film straniero.

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