Regia di Mario Bava vedi scheda film
Grande film, secondo me, e grande Mario Bava. Il lato horror è fatto bene ed è molto efficace, anche perché presenta tutti gli elementi che ci si aspetta di trovare in un horror anni '60, e che ne fanno il fascino: ambientazione tetra e sinistra, fotografia scura, il castello maledetto, personaggi oscuri e tormentati in una famiglia piena di misteri e crimini, la cripta, la bara da aprire, il castellano zoppo, misteriosi passi notturni nei corridoi... Insomma, l'ambientazione è ottima, la tensione non cede mai, e il senso di minaccia incombe su tutti i personaggi. Bava era anche bravo perché sapeva produrre questi risultati, oltre che con mezzi modestissimi, anche quasi senza effetti speciali. C'è in cambio un buon lavorio sulle luci, sulla fotografia, e su altri effetti ottici naturali. Cristopher Lee (sinistro e minaccioso al punto giusto), visto in controluce, che fa schioccare il frustino nel buio della camera è un'idea che solo a un grande talento come Bava poteva venire. Anzi, vedendo le sue pellicole ci si rende conto di come non sono i mega-budget che fanno i bei film, ma le capacità artistiche di chi lo gira.
Al centro del film c'è il rapporto sadomasochistico (che amore non è) tra il malvagio personaggio di Cristopher Lee e la bella rampolla di quella famiglia marcia fino al midollo. E' un rapporto tra il torturatore e colei che prova un perverso piacere nel farsi torturare. Si può anzi dire che il film tratta il tema, in modo molto intelligente, del fascino perverso che gli uomini crudeli e sadici esercitano su molte donne. La trama e la cornice horror non fanno che portare all'estremo una dinamica che in quella misura solo raramente accade nella realtà, ma che in forma minore si vede abbastanza spesso.
Secondo me siamo ai livelli di “La maschera del demonio”. Un ottimo film del terrore, senza smagliature, e con un interessante tema in filigrana. Mi chiedo perché lo si veda sulle reti straniere in italiano con sottotitoli, mentre in Italia è assolutamente dimenticato. Perché siamo così meschini verso il nostro grande cinema?
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