Regia di Johannes Naber vedi scheda film
L’emigrazione clandestina è una soluzione dettata dalla disperazione, ma è pur sempre maledetta. Il giovane kosovaro Arben Shehu affida a quella scelta un sogno d’amore già compromesso, e che rischia di spezzarsi per sempre: Etleva Petriti, la ragazza di cui è innamorato, aspetta da lui un figlio, ma il padre di lei, che è sommerso dai debiti, l’ha promessa in sposa ad un ricco parente americano, in cambio di denaro. Arben deve riuscire a racimolare al più presto possibile la somma necessaria a riscattare Etleva. Così parte alla volta della Germania, senza documenti e senza un soldo in tasca, percorrendo tanti chilometri a piedi. A Berlino troverà un connazionale che lo accoglie. Per un giorno solo. E gli procura un lavoro. Come addetto alla pulizia dei bagni. Poi conoscerà un altro straniero vagabondo, molto più malconcio di lui, perché da mesi dorme per strada e non fa che tossire. Quell’incontro sarà l’inizio di un’amicizia, ma anche la porta di un inferno fatto di ricchezza facile, di sfruttamento, di morte. Arben si perde, perché, al pari di tutti i disgraziati come lui, vive da esule in mezzo al disagio materiale, avendo il guadagno come unico traguardo. Purtroppo non gli basta avere il minimo indispensabile a tirare avanti; deve ad ogni costo tentare il colpo grosso, perché il tempo stringe e diecimila euro sono una cifra di tutto rispetto. Per una volta, la fame non c’entra. Ilir, il fratello minore di Arben, che è rimasto in Albania, studia in una scuola superiore, è ospite di un convitto, ed ha messo in piedi una rock band. Arben, parlandogli in videochiamata via internet, vede che si è fatto crescere i capelli, e se li è anche tinti di biondo. Forse anche quella partenza organizzata in fretta e furia, affidandosi a gente poco raccomandabile, è, in fondo, solo una bravata, magari un po’meno innocente e molto più pericolosa che il tentativo di farsi strada nel mondo della musica pop. In gioco ci sono sentimenti forti, capaci di sconvolgere la mente, tanto più quando vengono così dolorosamente umiliati. L’urgenza di soddisfarli è la dolce(amara) ala della giovinezza, che spinge a premere sull’acceleratore, prescindendo dal percorso e dalle condizioni della strada. Arben vuole dimostrare di essere uomo, e sbaglia. Il suo errore è prendere la vita di petto, anziché cercare di conquistarla con un po’ di subdola adulazione, come farà Slatko, il suo (temporaneo) compagno di crimine e sventura. Arben è costretto, dall’impellenza dei suoi desideri, a volere tutto e subito, senza riflettere su nulla, soprattutto sul reale costo dell’impresa. Quel ragazzo si autocondanna al fallimento credendo troppo nel suo obiettivo. Non sa quello che fa, e soprattutto quello che effettivamente è in suo potere fare. Questa incoscienza è il vero motore della storia, che usa il degrado come fucina di idee bizzarre e terribili iniziative. Il suo protagonista ne alimenta la tensione a suon di colpi di testa e colpi di sfortuna, lasciando in sottofondo il silenzio di una patria lontana, la cui esistenza, a sua insaputa, procede per conto proprio, incurante dei suoi sforzi. Ci può infliggere una sofferenza inutile, facendo del male a sé e agli altri, quando ci si abbandona ad un’autoreferenziale avventatezza, ingenuamente scambiata per eroismo. Ci sono fughe che servono per salvarsi. Ed altre che conducono soltanto in posti sconosciuti e lontani, da dove è molto difficile tornare indietro. The Albanian è il racconto di una lotta per la sopravvivenza che non è tale, però pretende di esserlo, convinta di avere il diritto di usare i suoi stessi mezzi, cinici ed estremi, e di poterne condividere la disumana cecità.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta