Regia di Cèline Sciamma vedi scheda film
Céline Sciamma, giovane autrice i cui corti hanno conquistato Xavier Beauvois e André Téchiné, ha vinto con l’opera seconda, Tomboy, il Premio Queer del Festival di Berlino (il Teddy Award) e quelli di pubblico e giuria (assegnato all’unanimità) al 26° Torino GLBT Film Festival. E una volta tanto i premi sono serviti, se un film piccolo francese, senza volti noti, trova distribuzione nelle nostre sale. Tomboy, termine inglese che indica una ragazza con atteggiamenti da maschiaccio, racconta un’estate e una doppia vita, quella di Laure. Ha dieci anni e la sua famiglia si è appena trasferita in un nuovo quartiere dove nessuno la conosce, occasione perfetta per assumere una nuova e diversa identità, quella di Mickaël. Nei panni maschili si dedica a giocare a calcio con i nuovi amichetti e i suoi modi più gentili suscitano l’interesse di Lisa, di cui Laure ricambia la corte in una delicata storia d’amore. La prima a venire a conoscenza del segreto è la sorellina Jeanne, che Laure rende però sua complice coinvolgendola nel gioco dell’identità segreta (il forte legame tra sorelle è ispirato alla vita della regista). Ma con il passare dei giorni l’inizio della scuola si avvicina e non si potrà fingere per sempre. Girato con mezzo milione di euro, in 20 giorni e con una troupe di sole quindici persone, Tomboy deve buona parte della propria fortuna all’alchimia del cast, dove la felice scelta della giovane protagonista Zoé Héran, presentatasi già con i capelli corti e l’amore per il calcio, ha portato automaticamente a includere nel film i suoi veri amici. La Sciamma impiega poi una messa in scena sobria, calibrata, e una fotografia chiara, che trasmette la sensazione, quasi fuori dal tempo, dell’estate di un gruppo di ragazzini, quando appunto ci si può illudere che una partita possa durare in eterno. Quasi l’altra faccia di Boys Don’t Cry, Tomboy dilegua la suspense dell’intrigo tra placidi pomeriggi assolati e, quando i nodi vengono al pettine, la resa dei conti schiva esplosioni drammatiche, preferendo il liquido sciogliersi della doppia identità in uno slancio di ottimismo verso l’apertura mentale dei bambini. Come nel recente Tutti per uno di Romain Goupil, è loro la vera maturità.
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