Regia di Michael R. Roskam vedi scheda film
Un altro ottimo prodotto belga: una cinematografia che spesso resta in sordina ma ci regala sempre più sorprese e soddisfazioni. Tanto più se si tiene conto che in questo caso parliamo di un esordio registico, e uno dei primi passi alla vigilia della definitiva affermazione per il possente, muscolare, intenso attore belga Matthias Schoenaerts ora famoso grazie all'apprezzato (e successivo) "Un sapore di ruggine ed ossa" di Audiard.
Storie di ormoni e carni "gonfiate", a cura di veterinari senza scrupoli complici di allevatori altrettanto disinvolti. A ciò si aggiunga un apprezzabile (e necessario, quasi provvidenziale) flash back che riporta la vicenda del protagonista - colosso traballante e dallo sguardo obliquo e strabico dopo i trattamenti a cui si sottopone con costante meticolosità - alla tragedia che vent'anni prima lo colse bambino vittima di una atroce sadica castrazione da parte di una banda di giovani teppisti. Un orrore in grado di spiegare a sufficienza (se non proprio a giustificare) i motivi che possono aver indotto l'allevatore ad una scelta criminale tanto spregiudicata come quella di immischiarsi nelle sofisticazioni chimiche di animali da allevamento destinati al macello per edulcorarne le carni con sostanze nocive e vietate.
Matthias Schoenaerts è perfetto nel calarsi nei panni del colosso certo cattivo, ma con delle attenuanti: quasi un nuovo King Kong del dolore, della solitudine e della emarginazione, pericoloso ma bisognoso di aiuto. Corpo tutto muscoli alla ricerca affannosa di una mascolinità che rimane solo esteriore e inevitabilmente ostentata,ma dalla durata effimera e provvisoria a causa della tragedia senza rimedio che lo colse in gioventù.
Il sopraggiungere inaspettato dell' amore femminile mai consumato che proviene dall'infanzia, proprio quello che sta alla base della tragedia, torna ora ad affacciarsi alla porta del protagonista, quasi a tentare di riprendere un discorso intimo briuscamente interrotto dalla furia della follia del branco.
In netto contrasto a ciò troviamo l'amico intimo già dall'infanzia che ama da sempre e segretamente il nostro protagonista, ma lo tradisce e lo abbandona vigliaccamente sempre nel momento del bisogno, forse sapendo di non poter essere mai corrisposto e in un certo senso sprecando la mascolinità a cui invece il nostro protagonista anela inutilmente.
Bullhead è la storia crudele e cruenta di un uomo che cerca nelle sostanze chimiche di far rinascere in sè la virilità negata dalla cattiveria di un'umanità che ora non merita certo scrupoli quando gli si destinano subdolamente alimenti manipolati da trattamenti anabolizzanti, quelli stessi che rendono la sua mandria un unico ammasso impressionante di muscoli guizzanti e testosteronici.
Bellissimi e pertinenti flash-back risultano inevitabili per capire, e si innestano con aderenza ad un racconto noir che procede come un thriller avvitandosi tortuoso fino alla ripresa depalmiana di una discesa in ascensore che è un pò una violenta resa dei conti, contrastata dalla simultanea e parallela fuga dell'amico traditore per le scale, giù attraverso una spericolata bellissima ripresa ellitica a cascata lungo una rocambolesca tromba delle scale.
Un film denso e sin troppo impegnato ad orchestrare una trama fitta e sfaccettata che rimane nella memoria nonostante gli spigoli e le imperfezioni, smussati tutti dalla passione innegabile dell'autore per un personaggio dolente e doloroso che egli ama e che finiamo nonostante tutto per difendere anche noi del pubblico nonostante le sue innegabili pesanti responsabilità.
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