Regia di Michael R. Roskam vedi scheda film
MAI USCITO AL CINEMA IN ITALIA
VISTO SU PRIME VIDEO NEL FEBBRAIO 2022
Una delle scene più violente da molti anni a questa parte. È ciò che mi resterà impresso, più di altre cose valide e meno, di questo realistico ed essenziale film belga di mafia campagnola, che parla anche tanto di vite spezzate in erba, di rapporti e amori impossibili, di sessualità complicata e di assenza di vie di fuga.
Bullhead, oltre che il titolo dell’opera girata dal fiammingo Michael R. Roskam (apprezzato il suo Chi è senza colpa del 2014), è anche il soprannome-condanna di Jacky Vanmarsenille, giovane allevatore del Limburgo – nelle Fiandre – che da sempre con la sua famiglia è costretto a venire a patti con la criminalità organizzata, soprattutto nell’imposizione dei prezzi di vendita e per la somministrazione al bestiame di sostanze proibite che favoriscono una crescita rapida quanto innaturale e quindi illegale. Il dramma di Jacky è di quelli che non si superano: da bambino, un ragazzo più grande e ritardato lo ha evirato con ripetuti colpi di pietra sui genitali. Ecco la scena di cui sopra rifilata allo spettatore in uno dei tanti flash back, che per la mia percezione, soprattutto a livello psicologico – visto che il dolore non è neppure immaginabile – mi è giunta come una delle più brutali che ricordi da moltissimi anni a questa parte, seppure priva di sangue. E non sono un tipo facilmente impressionabile.
Per diventare o sentirsi uomo, il Nostro, sin dall’infanzia prenderà l’abitudine di assumere e iniettarsi sostanze dopanti a base di ormoni, proprio come poi farà con le sue vacche. Consuetudine che fa di lui un uomo possente, dalla massa muscolare quasi ipertrofica ma anche dal ragionamento rallentato e per certi versi animalesco, oltre che sessualmente impotente.
Non è un film facile questo Bullhead (candidato nel 2012 all’Oscar come miglior film straniero),dalle atmosfere pesanti senza un istante di alleggerimento, dal ritmo a volte troppo lento ma che ha il pregio di guardare al sodo con dialoghi credibili (la scrittura è dello stesso Roskam) uniti a una fotografia (Karakatsanis) efficace nel rendere i grigi paesaggi delle Fiandre. Soprattutto, la vicenda svela la straziante parabola umana del protagonista, interpretato dal belga Matthias Schoenaerts (che ricordavo in particolare per il ruolo in Un sapore di ruggine e ossa, 2012) che ha raccolto meritati apprezzamenti e premi in patria e all’estero. Il suo personaggio è un trentenne devastato nel fisico e nelle aspettative fin da quando era un fanciullo sano e dalla mente vivace, ora di una solitudine sconfinata e trattato dal prossimo come fosse un pugile suonato, cui dovere rispetto solo per non incorrere nelle conseguenze dei suoi accessi di rabbia e violenza fisica. L’impossibilità di essere un uomo come tanti, gli sarà confermata, nel corso del racconto in immagini, dalla consapevolezza di non poter conquistare il cuore della donna che ricorda da quando erano entrambi ragazzini. Perché anche lei non riuscirà a vedere in fondo all’apparenza da toro pericoloso, un essere umano ferito e bisognoso d'amore.
Un film, come detto, complicato, a tratti pesante, ma di un certo valore autoriale. Non per tutti ma interessante. Voto 7,1.
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