Regia di Gustavo Taretto vedi scheda film
Martin disegna siti web, soffre di svariate fobie, la sua spina dorsale cerca di comunicargli, tramite radiografia, che passa troppo tempo al computer. Mariana ha studiato architettura ma fa la vetrinista, ha il cuore infranto e un minuscolo appartamento invaso da manichini, proprio nel condominio di fianco a quello di Martin. Ascoltano la stessa musica, guardano contemporaneamente Manhattan di Woody Allen, assistono basiti al sucidio di un cane che si getta dal balcone, si incrociano quotidianamente per strada, ma li separano le medianeras, ovvero le pareti cieche dei rispettivi palazzi; almeno fino a quando, simultaneamente, in sfida alla regolamentazione urbanistica, non decidono di aprirsi una finestrella per far entrare un po’ di luce nell’esistenza.
La metafora è lampante, ed è solo una fra le tante nell’opera prima dell’argentino Gustavo Taretto, che arriva nelle sale italiane con tre anni di ritardo e, volendo parlare, tra le altre cose, dell’alienazione tecnologica moderna, sbaglia irrimediabilmente il tempismo. Tra scene vagamente surreali e qualche momento stucchevole, il film insegue le atmosfere della commedia romantica alla Sundance, affastellando microframmenti narrativi e affollandosi di ammiccanti citazioni pop, denunciando la sua natura d’esordio (per giunta stiracchiato da un precedente mediometraggio) nell’onnipresente voice over e nella stratificazione di allegorie. Ma sostituendo la simpatia al cinismo, almeno asseconda la nostra voglia di tenerezza.
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