Regia di Gustavo Taretto vedi scheda film
Le città stanno a guardare. E intanto ci mostrano il loro lato più anonimo e impassibile: le pareti dei palazzi, che si sottomettono con beffarda indifferenza all’usura del tempo, al proliferare delle specie vegetali, all’invasione della pubblicità e delle altre forme di espressione umana. Nascondersi dietro una fantasia di macchie, crepe, scritte e disegni è il loro molto di consacrarsi alla massa ed ai mutevoli umori della storia, sorvolando sui minuti dettagli delle tante vicende individuali. Così queste, per il mondo, cessano di esistere. Rimangono isolate dietro muri ciechi, privi di sbocchi verso l’aria e la luce. Finché qualcuno non decide di aprire uno spiraglio, un piccolo foro attraverso cui comunicare con l’esterno. Il cinema sudamericano contemporaneo è pieno di finestre: di prospettive che si spalancano, inattese, su vite che sembravano perdute. Così è per il vecchio Antonio Romero in La ventana (2008) di Carlos Sorin, per la famiglia Kachanovsky in El hombre de al lado (2009) di Mariano Cohn e Gastón Duprat, per l’amore proibito degli adolescenti Luchito e Manuel nel corto Blokes (2010) di Marialy Rivas. E così è, in questo film dell’esordiente argentino Gustavo Taretto, per Mariana e Martín, due giovani abitanti di Buenos Aires, che vivono una di fronte all’altro, ma non si incontrano mai, e rimangono ognuno per conto proprio, prigionieri delle rispettive fobie e condannati a macerare in eterno gli strascichi di gravi delusioni personali. Rintanati dentro il loro guscio abitativo – quello che in spagnolo si chiama caja de zapatos, ossia “scatola di scarpe” – rimuginano ed ammazzano la noia con sogni surrogati: per lei, sono manichini a forma d’uomo, per lui, passatempi praticati attraverso internet. Mariana è decoratrice di vetrine, Martín designer di siti web. Entrambi prediligono, alla visione diretta e libera della realtà, il contatto a distanza con un mondo appartato e virtuale, da cui li separa la trasparenza di un vetro. Al di là di questo si trova la proiezione artistica del loro essere, un alter ego costruito su misura, che è l’unico con il quale siano in grado di dialogare. La socialità, per loro, non funziona: ad estraniarli dai loro simili è la loro convinzione di essere speciali, affetti da un male dell’anima che li costringe a vivere secondo regole inapplicabili al resto dell’umanità. Ogni loro tentativo di adattamento fallisce. La loro singolarità li rende incapaci di sperare in un rimedio e di mettersi alla ricerca di ciò di cui hanno bisogno. Qualcosa trovano, per caso, ma è sempre inutile, o di troppo o comunque sbagliato. La loro insignificante marginalità è come quella dei muri laterali degli edifici, le medianeras, relegate in un'insulsa posizione intermedia, che non è né fronte, né retro, e le riduce a simboli inespressivi della separazione tra due vuoti: quello interiore della depressione, della paranoia, dell'ipocondria, e quello esteriore di chi si limita a seguire la corrente. Per Mariana e Martín, uscire di casa è un'avventura surreale, in cui vengono a contatto con altri individui non meno stressati, però, a differenza di loro, del tutto inconsapevoli della mancanza di senso delle loro esistenze, interamente abbandonate al caos: lo stesso furioso disordine che, in pochi anni, ha trasformato la capitale dell'Argentina in una grottesca macedonia di stili architettonici. Esiste un'alienazione creativa, che insegue ciecamente il miraggio della costruzione del progresso attraverso una frenesia produttiva priva di criterio: quella che spinge la donna conosciuta da Martín su un blog di incontri online a collezionare lingue, hobby, uomini ed interessi vari, e che induce i cosiddetti amanti del nuoto a passare ore in piscina, percorrendo in fila indiana le corsie, pur di accumulare un congruo numero di vasche. Nel frattempo, Mariana e Martín coltivano la loro alienazione riflessiva, che preferisce ritirarsi a pensare in una desolata intimità, piuttosto che partecipare a quella forzata finzione collettiva, in cui tutti si affannano a farsi piacere una vita inesorabilmente confinata nella mediocrità. Il soliloquio è la dimensione della chiarezza, che forse è spenta ed insapore, ma, al contrario della concitata coralità della folla, è investita dell'intatta dignità dell'Essere. Medianeras è un canto ironico ed amaro, che, consumandosi, cresce verso la rivelazione romantica, rinviando all'ultimo, tenero scampolo finale la sorridente luminosità della poesia a due.
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