Regia di Fernando León de Aranoa vedi scheda film
Fernando León de Aranoa, dopo I lunedì al sole (2002) e Princesas (2005), torna al cinema con la storia di una badante sudamericana. Incinta e fondamentalmente sola. Però, attenzione: questo non è il solito dramma di immigrazione. Marcela è la protagonista di una commedia grottesca, in cui non si ride mai, mentre, per contro, a tratti la tensione si fa altissima, come in un thriller. C’è una morte da tenere segreta. E ci sono messaggi in codice da decifrare, espressi col linguaggio dei fiori, col richiamo alle figure mitologiche, con l’enigma che si cela dietro i pezzi di un rompicapo. Le parole sono misteriose e mai dirette, le rivelazioni decisive sempre rinviate. Ci sono lettere urgenti chiuse in un cassetto e spedite molto tempo dopo. Ci sono profumi artificiali che coprono odori veri. Tutto il mondo gioca a nascondino, a partire da quella ragazza sulla sedia a rotelle che copre le gambe non perché sia paralizzata, ma perché là sotto il suo corpo ha la forma di un pesce. La camera del vecchio Amador, immobilizzato a letto da una grave malattia, è il cuore di quello che sembra un unico grande sotterfugio universale. Non dire tutta la verità è una necessità di vita, e mentire è un vizio comune, che fa enormemente comodo a tutti. L’ironia della sorte vuole che alla povera Marcela, giovane, fragile ed inesperta, spetti il ruolo principale in questo enorme imbroglio. A lei tocca condurre le danze, salvando le apparenze agli occhi del mondo. Crede che l’inganno sia solo una sua estemporanea invenzione, escogitata per il suo esclusivo interesse: continuare ad essere pagata nonostante il decesso dell’anziano che le era stato affidato. Invece la sua parte è solo un piccolo dettaglio all’interno della finzione generale che rende possibile la sopravvivenza dell’individuo e della sua collocazione all’interno della società. Tradire e tacere il tradimento sono azioni dettate dal medesimo istinto di conservazione. Sono frutto dell’impulso che spinge a confondere le carte per poterle ricomporre al momento opportuno. I conti alla fine comunque tornano, anche se nel frattempo si è parecchio pasticciato. Umana debolezza e strategia diabolica si tengono per mano: è la loro indissolubile complicità ad intricare il percorso verso la meta, perché la via più breve, ossia quella retta, è disseminata di insostenibili inconvenienti. Del resto le cose non possono essere chiare fin dall’inizio, perché altrimenti il nostro cammino terreno non avrebbe senso: come Amador spiega a Marcela, rimettere insieme le tessere di un puzzle produce un effetto ben diverso che vedersi porgere subito l’immagine intera. Quell’uomo che parla della morte a suon di metafore, sognando il mare e le sue fantastiche creature, ricorda da vicino il nonno marinaio, protagonista di Sirenas (1994), il cortometraggio d’esordio del regista: con questa opera prima, Amador ha in comune una fede quasi religiosa nella magia del destino, che si nutre di coincidenze inverosimili, di bizzarri paradossi e di provocanti ambiguità. Un assunto sostenuto con la forza dell’alienazione, che traghetta la mente lontano dalla realtà, per immergerla in un aldilà in cui la verità coincide con tutto ciò in cui siamo fermamente intenzionati a credere.
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