Regia di Youssef Chahine vedi scheda film
La vicenda mitica di Giuseppe è riletta attraverso la figura del giovane Ram, desideroso di abbandonare la precaria vita del deserto e di trasferirsi in Egitto per studiare agricoltura. Vinta la riluttanza del padre, lascia l'arido (anche in senso intellettuale) villaggio natale, ma è venduto dai fratelli e, arrivato in Egitto, finisce per diventare schiavo di Ozir, assistente di Amihar, potente capo tebano. Stimato per la sua lealtà e per i suoi meriti, viene affrancato; il tutto si intreccia con lotte tra fazioni religiose e scontri politici, fino all'agnizione finale in cui il giovane incontra i fratelli traditori. Riconciliazione e ritorno a casa, dove ad aspettarlo c'è l'anziano padre. Attraverso le peripezie di Ram vengono messe in scena le aspirazioni, le delusioni e i successi di tutti gli emigranti, di cui il giovane può essere considerato una sorta di archetipo mitico. Pur parlando della società contemporanea, Chahine riesce a mantenere una freddezza che evita ogni eccesso. Protagonista (proprio perché poco presente) del film è l'acqua, che manca nel villaggio natale di Ram, è il teatro del tradimento da parte dei fratelli e viene conquistata dallo stesso giovane grazie alla sua astuzia e alla sua dedizione. L'acqua come vita e amore, l'aridità come arretratezza, paura, pregiudizio, superstizione. La classicità dell'impianto favorisce un approccio razionale e pacato sull'emigrazione, l'integrazione, i conflitti religiosi; a prevalere, infatti, è la visione "illuministica" e propositiva di Ram, che esce indenne da fanatismi di ogni sorta che lo allontanavano dal suo obiettivo umanitario: rendere fertile la terra del suo popolo.
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