Regia di Alexander Mindadze vedi scheda film
Giovane funzionario del partito nella piccola cittadina ucraina di Chernobyl, Valerji si accorge subito della portata e della gravità del disastro che incombe sugli abitanti alla vigilia di quel Sabato 26 Aprile 1986, quando il reattore numero quattro della locale centrale nucleare subisce una grave esplosione. I suoi tentativi di fuga, insieme alla ragazza che ama però, saranno vani e finirà per passare il giorno successivo, tra i bagordi e la disperazione etilica, alla festa di matrimonio di un suo vecchio amico di infanzia.
Dopo la decennale collaborazione alla sceneggiatura per il regista e allievo di Romm, Vadim Abdrashitov ('Parade Planet' - 1984 e 'Plumbum - un gioco pericoloso' - 1987) in lavori attenti all'analisi sociale ma anche inclini ad una riflessione su tematiche universali proprie della tradizione cinematografica del disgelo sovietico, questo secondo lavoro di Aleksandr Mindadze segue a ruota il suo esordio nel dramma personale 'Otryv' ('Distacco' - 2007) tratto da una storia vera e come quello incentrato sulla disperata ricerca di una alternativa alla morte; la straniata soggettiva con cui un giovane e disilluso funzionario del partito comunista vede dissolversi in una sola notte le chimere di progresso e di speranza per il futuro di un popolo inebetito dalla propaganda e dal colpevole silenzio delle autorità ufficiali.
Distacco (2007): Maksim Bityukov
Innocent Saturday (2011): Anton Shagin e Svetlana Smirnova-Martsinkevich
Pur privilegiando una messa in scena che sceglie intenzionalmente la soggettiva di una camera a mano che pedina il suo disperato e confuso protagonista, Mindadze sembra non aderire nè al linguaggio di una docu-fiction che attesti la drammatica escalation di un week-end di morte nè i codici di un crudo realismo che ne denunci orrori e disastri, sviluppando in realtà una sorta di nevrosi descrittiva entro cui far confluire tanto le generiche istanze di una indefinita responsabilità politica quanto le fragili psicologie di personaggi alla deriva che si agitano convulsamente sul proscenio di un dissennato baccanale a base di balli e vodka.
Se l'idea iniziale era quella di una rappresentazione della insensatezza e della disperazione umane di fronte all'ineluttabilità della (di una) Storia nelle pulsioni autodistruttive e nella rimozione della colpa di una surreale e grottesca maratona di un ballo da 'Maschera della Morte Rossa' ('Non si uccidono così anche i cavalli?' - 1969 - Sydney Pollack), il tentativo del regista russo disperde energie e credibilità nella incapacità di sviluppare quella tensione latente e quel senso di impotenza di fronte all'oppressione di un pericolo incombente che ne dovrebbe costituire il motore dinamico ed il nucleo concettuale, facendo agitare i suoi protagonisti tra l'esibizione rocckeggiante ad una festa di matrimonio e le sonore scazzottate sotto l'effetto dell'ebbrezza etilica.
Non si uccidono così anche i cavalli? (1969): Sydney Pollack
Latitante tanto sul versante della denuncia politica (un pugno chiuso ed una blanda recriminazione tra amici non paiono francamente sufficienti) quanto su quello di un credibile dramma umano, il film si riduce ad un resoconto un pò velleitario e sciatto di quelle ore che segnarono simbolicamente lo sgretolarsi di un disastrato impero sovietico ridotto alla carcassa devastata e iridescente di un minaccioso rudere di morte. Nomination all'Orso d'oro al Festiva di Berlino del 2011.
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