Regia di Woody Allen vedi scheda film
Robert Zemeckis ci aveva pensato nel 1985, con Ritorno al futuro, e ancora prima l'avevano fatto i nostri Benigni e Troisi, con Non ci resta che piangere. I viaggi nel tempo sono sempre stati, per la verità, una costante della storia del cinema (nonché della letteratura) e lo stesso Woody Allen aveva ronzato intorno a questa tematica con Il dormiglione (risveglio nel futuro), con Zelig (originalissima commistione tra finto documento e vera finzione) e con La rosa purpurea del Cairo (compenetrazione tra realtà e cinema), ma qui l'espediente, per il quale non viene nemmeno tentato un abbozzo di spiegazione (magia parigina?) maschera un pauroso e imbarazzante vuoto di idee, confermato peraltro dal successivo To Rome with Love (insieme allo storico doppiatore di Allen, Oreste Lionello, deve essere morto anche l'ultimo traduttore italiano dei titoli dei suoi film).
La cosa che mi è rimasta più impressa di tutto il film sono gli occhi continuamente sgranati di Owen Wilson, di fronte ai continui incontri con i grandi artisti degli anni Venti del Novecento: Scott Fitzgerald, Hemingway, Dalì, Picasso, Buñuel (mai che gli capiti di incontrare un operaio, un vetturino, un'impiegato del catasto). Faccia a faccia con quest'ultimo, il protagonista non trova di meglio che raccontargli la trama di L'angelo sterminatore. Ma, allora, mi pare migliore la battuta di Troisi davanti a Leonardo Da Vinci, quando, in Non ci resta che piangere, Benigni gli chiede di dire "qualcosa di scientifico": «ma nove per nove farà ottantuno?».
Parigi è qui usata come una location da cartolina, ma questo non basta a "fare" il film: si confronti l'incipit di Midnight in Paris con quello dell'altrimenti ispirato Manhattan, opera risalente a un'era geologica e cinematografica fa.
Per concludere, noterei come Owen Wilson sia fisicamente inadatto, moscio e poco espressivo: praticamente uno dei peggiori protagonisti alleniani di sempre.
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