Regia di Woody Allen vedi scheda film
40° film di Allen. Sviluppa lo spunto di un raccontino giovanile, Un ricordo degli anni Venti, dove un narratore in prima persona rievocava (in tono ironicamente dissacratorio, beninteso) i suoi incontri con Hemingway, Picasso, la Stein, Scott Fitzgerald e altri personaggi presentati già in termini analoghi a quelli del film. Tuttavia (a differenza di La rosa purpurea del Cairo, spesso citato come precedente) il suo nocciolo non si esaurisce affatto nella fuga nel sogno, al contrario: l’incantesimo che concede a Owen Wilson, ennesimo alter ego dell’autore, la possibilità di confrontarsi con i propri miti culturali (i quali, peraltro, a volte deludono le attese: Buñuel non capisce il soggetto di L’angelo sterminatore quando gli viene illustrato) gli regala anche la consapevolezza di essere irrimediabilmente diverso da loro e gli fa accettare sé stesso. Lui vuole vivere nella Parigi degli anni ’20, la modella durante la Belle Époque, Gauguin nel Rinascimento, e il gioco potrebbe continuare all’infinito: ognuno favoleggia una sua personale età dell’oro collocata in un passato più o meno lontano, perché nessuno è soddisfatto della propria esistenza e del mondo in cui gli è toccato in sorte di vivere. Se Ombre e nebbia si concludeva dichiarando che abbiamo bisogno delle illusioni “come dell’aria che respiriamo”, qui il protagonista giunge a capire che deve liberarsi delle proprie illusioni per poter scrivere meglio: perciò alla fine, quando rintocca la mezzanotte, non arriva un’auto d’epoca con a bordo una comitiva festante ma una sorridente Léa Seydoux insieme a cui camminare sotto la pioggia. Temo che in futuro, specialmente a giudicare dalle voci che circolano sulla sua prossima opera, ci sarà da rimpiangere che Allen non abbia detto basta dopo questo film, forse il più onesto che abbia mai realizzato: sarebbe stato il suggello perfetto della sua carriera.
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