Regia di Woody Allen vedi scheda film
E’ premessa necessaria forse un’urgenza la mia dichiarazione di assoluta idolatria per un regista, Woody Allen, al quale devo la consapevolezza che se è vero che il cinema non salva la vita, nel mio caso,grazie ai suoi capolavori come “La Rosa purpurea del Cairo, “Manhattan”, “Crimini e Misfatti”, “Un’altra donna” ed “Harry a pezzi” (giusto per citarne alcuni) mi ha salvato da me stesso. Mi sono approcciato a “Midnight Paris” dopo l’eco di critiche positive dell’apertura del Festival di Cannes confermate anche dalla stampa nostrana che parlavano di un film scritto e diretto dal cineasta newyorchese in stato di grazia ed invece la sensazione alla fine della proiezione è di profonda delusione,amarezza e per certi aspetti anche rabbia tipici proprio dell’amante tradito. Ciò che più infastidisce di questo film è l’evidente logorio del mondo cinematografico Alleniano, stilistico e soprattutto narrativo, che anziché essere cifra autoriale in grado di nobilitare un racconto, finisce col diventare manicheo ripetitivo, comodo e per certi aspetti furbo. Se l’incipit di “Manhattan” irrompe con la voce fuori campo del protagonista sulle immagini della New York in bianco e nero di Gordon Willis adagiate sulle musiche di Gershwin “Midnight in Paris” si apre con una sequenza lunghissima d’immagini di Parigi, dalle luci del giorno alla notte e non basta l’accurata fotografia di Darius Khondji che predilige colori caldi o la scelta di riprenderla poco affollata, a non far sembrare i primi minuti del film come un prologo commissionato dall’ente turismo della città. Si passa poi al vortice dei temi cari alla sua filmografia: dalla coppia nevrotica dell’alta borghesia attraversata da una crisi e da divaricanti prospettive intellettuali e di vita fino all’elemento del magico che diventa flusso di coscienza dei suoi personaggi oltre che alter ego spazio temporale. Qui però tutta la materia che ha a disposizione Allen diventa incolore,piatta,debordante e soprattutto pretenziosa;Owen Wilson in giacche tweed e pullover dai colori discreti che balbetta e si trascina non è il Woody Allen di “Io a Annie”, il personaggio di Rachel McAdams è la forma evoluta temporalmente ma regressa a livello di profondità descrittiva della Diane Keaton di “Manhattan”, Marion Cotillard deliziosa,sinuosa ed elegante fa il possibile per dare spessore ad una figura femminile che resta però una semplice bozza senza contare che la girandola dei Fitzgerald, Hemingway, Dali e Bunuel innesca battute e trovate che generano il gioco della citazione colta ed intellettuale ma sotto il profilo dei tempi della commedia strappano solo timidi sorrisi. Il finale è ahimè piuttosto prevedibile,inevitabile e a tratti imbarazzante E’ come se si fosse in presenza di un falso d’autore, seppur il disegno, la forma e i colori sono riconoscibili e riconducibili ad una dimensione d’arte una volta attraversata ed osservata con attenzione non si può fare a meno di ammettere che sia una patacca e si ha, pertanto, immediatamente voglia di tornare all’originale. Non mi resta che dire “Provaci ancora (e meglio) Woody!
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