Regia di Joe Wright vedi scheda film
Hanna viene allevata dal padre Eric Bana per essere la guerriera perfetta. Lui la riempie di nozioni, la addestra da mattina a sera, le insegna le lingue. Poi la strega cattiva Cate Blanchett si ricorda di lei, e la perseguita come Grimilde con Biancaneve. Solo dieci anni fa a un film così, con attori del genere, si dedicavano le copertine dei rotocalchi. Oggi esce in sala a Ferragosto, lontano da occhi indiscreti. Peccato: Hanna di Joe Wright, scritto dall’inglese David Farr e dal canadese Seth Lochhead, è una sorpresa. Certo è richiesta allo spettatore una sospensione dell’incredulità piuttosto alta (che ci fanno gli skin tedeschi con il bomber a 40 gradi all’ombra?), ma sono cosucce di facciata. Il bello è dentro, dietro, oltre. Abbiamo noi per primi subito per anni lo stereotipo della donna guerriera quindi virile, quello particolarmente amato ed esaltato da James Cameron. Tutto sbagliato. Wright, Farr e Lochhead ribaltano l’iconografia riportando il ruolo femminile alla matrice, all’archetipo fiabesco, ricollocandola in una dimensione che non ha nulla di maschile. Anzi, con intelligenza le icone machiste crollano al passaggio della fanciulla, tra tappe che coincidono con quelle dell’adolescenza (compresa l’attrazione omoerotica per l’amica campeggiatrice) e della crescita. È algida Hanna (la gaelica Saoirse Ronan), innalza l’eterno femmineo al grado zero, finché nel parco a tema dei fratelli Grimm a Berlino non si libera del maschio/patrigno e della strega/matrigna, rimanendo sola con la sua purezza. Un piccolo film di genere che dice molto di più e molto meglio dell’Alice in Wonderland di Tim Burton.
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