Regia di Joe Wright vedi scheda film
Un videoclip lungo quanto un film. Una pellicola architettonica, costruita su un’obsoleta ed algida forma di avvenirismo scenico. Al centro delle tanto asettiche geometrie visive si staglia la pallida figura di Hanna, platinata icona d’inespressività che, con le sue ginniche prodezze, assomma in sé, dentro la corazza di una bellezza botticelliana, i principali cliché mitologici femminili, dalla Diana cacciatrice all’ultima donna sulla Terra, passando per le atletiche evoluzioni alla Wonder Woman. L’epica inscatolata in questo sperimentalismo a effetto gela lo sguardo e paralizza l’immaginazione, come il nozionismo poliglotta di cui l’eroica fanciulla è l’austera paladina, enfant prodige nel natio ambiente silvestre, e robotica marziana nella società civile: un’aliena che parla tutte le lingue del mondo, ma sgrana gli occhi incredula di fronte al televisore, alla macchina per il caffè e anche davanti al semplice lampeggiare di un neon difettoso. Quella che questo film ci propone al posto dell’azione sembra una sofisticata forma di isterismo, che converte la razionalità in mania e la metafisica in un eccentrico sollazzo per i tempi morti del pensiero. Una volta annegato l’esotismo in un secchio d’acqua ghiacciata, e ridotta la commedia familiare e adolescenziale ad un grottesco psicodramma malamente recitato, ciò che resta è una messa in scena attonita ed imbelle, che si direbbe uscita dallo sterilizzatore a raggi ultravioletti, e ci induce a chiederci, ad ogni piè sospinto, il benedetto perché di tutto questo.
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