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Le donne del 6° piano

Regia di Philippe Le Guay vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Le donne del 6° piano

di laulilla
7 stelle

Siamo a Parigi, negli anni ’60, dove, in un palazzo dal leggiadro aspetto Liberty, abitavano al sesto piano, non raggiungibile in ascensore, alcune donne di origine spagnola.

 

In quel bel palazzo signorile i ricchi borghesi parigini occupavano gli alloggi più prestigiosi, ignorando, per quanto possibile la presenza delle immigrate spagnole per lo più mal tollerata, per le loro  abitudini spontaneamente allegre, ciarliere e solidali, in contrasto con l’ovattata atmosfera delle famiglie benestanti e ben educate, abituate anche a celare le loro crisi: gli uomini cumulando nevrosi (persino l’uovo alla coque, non perfettamente cotto, poteva rovinare la giornata); le donne occupandosi di troppe faticose frivolezze mondane.

 

Nel piano delle soffitte, non ancora diventate pregevoli mansarde, le immigrate spagnole vivevano in condizioni difficili, senz’acqua e con servizi (poco) igienici in comune, guadagnandosi la vita come domestiche nella speranza di migliorare la loro umile condizione.

Erano fuggite dalla Spagna per sottrarsi alla povertà, o alle persecuzioni politiche, che nel loro paese, ancora soggetto alla dittatura franchista, perduravano dalla fine della guerra civile.

 

Una di loro, Maria (Natalia Verbeke), bella, giovane e piena di vita, era stata assunta nella grigia abitazione dei coniugi Joubert come nuova cameriera: era riuscita a farsi apprezzare dalla signora, per le sue qualità di lavoratrice, ma ancora di più dal marito, sia per la sua avvenenza, sia per la ventata di freschezza e di gioia che aveva introdotto in quell’alloggio.

Il ritratto dei due coniugi è probabilmente la parte più riuscita del film. In monsieur Joubert  ( Fabrice Luchini), schiacciato fra la noia della vita familiare e le opache pratiche della sua vita professionale, a poco a poco si manifestava, attraverso quasi impercettibili mutamenti, il suo progressivo ricupero dell’energia vitale: ora davvero la sua vita stava migliorando in modo decisivo.

 

In madame Joubert (Sandrine Kiberlain), invece, goffamente irrigidita nell’abbigliamento bon ton, stentava a farsi strada la verità di un rapporto coniugale allo stremo: quando finalmente avrebbe aperto gli occhi, non le era stato difficile comprendere perché il suo matrimonio non aveva funzionato.

 

 

La conclusione del film, forse non molto convincente come quasi sempre l’happy – ending delle belle favole, non annulla il piacere della visione di un film raccontato con garbata e spesso divertita serietà, che, organizzata intorno a un nucleo di verità tutto sommato convenzionali, non cancella la magia di una narrazione nello stesso tempo sorridente e malinconica.

 

Bravo il regista e brave anche le attrici, comprese quelle che non ho nominato, come l’almodovariana Carmen Maura. Di Luchini, tutto il bene possibile non l’ho ancora scritto, ma subito rimedio!

 

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Rivisto in streaming e aggiornata la vecchia recensione del giugno 2011.

 

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