Regia di Asghar Farhadi vedi scheda film
Incuriosito dai premi conferiti a questo film dell'iraniano Farhadi, in primis l'Oscar al miglior film straniero del 2012, non mi sono perso l'occasione della prima trasmissione in tv.
Inizio ad effetto con ripresa frontale sui due coniugi che si alternano davanti all'obiettivo nell'intento di esternare le loro ragioni al giudice che dovrà dirimere la loro separazione. Sceneggiatura meticolosa e accurata nei minimi dettagli, riprese prevalentemente a mano e praticamente tutte in interni (in casa, in ospedale, in tribunale e in auto). La vicenda, piuttosto particolare e non convenzionale per le nostre abitudini, ruota intorno agli affanni del bancario Nader, trasparente e progressista cittadino di un Iran che vorrebbe chiudere con gli anni bui per strizzare un occhiolino, seppur di modesto profilo, all'occidente.
Occorre una premessa: le motivazioni da lui riportate al giudice sono più che comprensibili e, è mia opinione, condivisibili da ogni persona dotata di senno a ogni latitudine. L'aspetto che non a tutte le latitudini probabilmente verrebbe accettato consiste nella gestione della seconda vicenda, tragedia nella tragedia di questa tragicommedia neorealista del quasi assurdo (a conforto di ciò, si evidenzia una poco razionale successione di eventi legati tra loro da un'effimera quanto labile traccia tipica del teatro dell'assurdo). Premessa a parte, alcuni hanno recepito, nel corso delle vicissitudini narrate, un atteggiamento da parte dei vari personaggi assolutamente cristallino, senza ombra di malafede. Personalmente in relazione a quest'ultimo punto qualche remora l'avrei, ad esempio, Razieh inizialmente tenta di approfittare della situazione (pur con tutte le attenuanti del suo status psico/fisico) e solo in un secondo tempo sente gli scrupoli originati dalla coscienza e dalla paura di un opaco giuramento sul Corano.
Non credo proprio, almeno lo voglio sperare, che dalle nostre parti accetteremmo le farneticazioni del frustrato marito di Razieh con la stessa rassegnazione. Altresì reagiremmo diversamente alle arbitrarietà assurde del giudice senza (a quando ci è dato di vedere) l'ausilio di un difensore. E' impossibile non provare, nel corso di alcune sequenze, un seppur basso dosaggio di fastidioso nervosimo alternato peraltro a pillole di simpatia per il nonno e le due ragazze, la più piccola figlia di Razieh e l'altra di Simin (quest'ultima, Tehrme, è interpretata da Sarina, figlia del regista), vittime entrambe delle vicissitudini genitoriali.
Film certamente da vedere, sia per la valenza culturale del contesto (scarsamente noto ai più) che evidenzia le differenze tra la loro e la nostra posizione in merito al genere femminile, sia per l'eccellente performance dell'intero cast.
Confesso una certa delusione nel finale. Mi aspettavo, a contorno dell'epilogo giudiziale con l'altra famiglia, almeno un patteggiamento tra Nader e Simin se non altro per la figlia (come la saggezza avrebbe dettato, viste anche le non insormontabili cause dei dissapori), invece no. Si conclude tornando allo stesso punto d'inizio: tribunale, giudice e, in più, le lacrime di Tehrme. Peccato, forse realistico ma sconfortante.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta