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Una separazione

Regia di Asghar Farhadi vedi scheda film

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La recensione su Una separazione

di OGM
8 stelle

C’è un modo di entrare dentro le storie che non viola le regole della discrezione: si può andare a toccare il cuore delle situazioni senza fare rumore, né contaminare in alcun modo l’ambiente, come per un’indagine di polizia. E c’è un realismo che è a portata di mano, talmente vicino che non ha bisogno di gridare, per farsi sentire. D’altronde la sobrietà è la premessa necessaria all’attenzione, perché solo uno sguardo limpido ed una mente sgombra possono permetterci di vedere con chiarezza, e valutare con serenità.  Quanto più il quadro è complesso, tanto più è opportuno mantenere un basso profilo: impossibile, altrimenti, descrivere un mondo in cui si incrociano tensioni di varia natura, causate da questioni religiose, dal dramma della malattia incurabile, dalle necessità materiali, dalle incomprensioni. In questo film la famiglia è il punto in cui si concentrano i dolori, le ansie, gli affanni e le frustrazioni. Si tratta di una storia iraniana, nella quale, però, il chador e il Corano sono solo elementi linguistici, in cui si traducono i problemi che, in ogni parte del globo, sono quelli tipici della modernità:  il disagio economico, le crisi coniugali, i dislivelli sociali, l’invecchiamento della popolazione. Simin e Nader sognano una vita migliore in un paese estero, ma Nader non vuole emigrare a causa del padre, che, essendo affetto da demenza senile, non è più autosufficiente. Il disaccordo sfocia nella separazione, con Simin costretta ad abbandonare la casa familiare, e, con essa, la figlia Termeh, che  rimane affidata al marito; il quale, lo stesso giorno, assume una badante, Razieh, che si occupi delle faccende domestiche e assista il padre. La famiglia, in un attimo, si è sfasciata, e l’inserimento di quell’elemento estraneo non farà che aggravare la situazione, creando nuove ed inattese sofferenze.  Accade qualcosa di innaturale e irreparabile, quando i legami affettivi si spezzano o anche solo si allentano: la distanza che si crea all’interno di un gruppo tenuto insieme, fino a poco tempo prima,  dalla confidenza e dall’intimità, è uno spazio vuoto che occorre assolutamente riempire, ma è difficile capire come.  Nella disperata ricerca di una soluzione è facile, allora, commettere errori e leggerezze, che possono anche avere conseguenze tragiche. L’equilibrio infranto innesca una valanga di sventure, perché le persone sono fragili e il nervosismo è sempre un cattivo consigliere. Quel divario causato dalla separazione è come una porta spalancata, dalla quale il caos del mondo può irrompere nella vita privata di chiunque. Allontanarsi, decidere di procedere ognuno per la propria strada non è, di per sé, moralmente sbagliato: ma può diventare un atto irresponsabile dal punto di vista puramente pratico, se, come in questo caso, si ha concretamente bisogno l’uno dell’altro: Nader dell’aiuto di Simin, Simin della presenza di Termeh, Termeh dell’amore di entrambi i genitori.  I tre dovrebbero continuare a vivere insieme, esattamente come Razieh non dovrebbe lavorare presso la casa di Nader, che è distante chilometri dalla sua abitazione, e la costringe ad una fatica massacrante, certo de­leteria  per una donna in stato interessante. Purtroppo non ha scelta, visto che il marito è disoccupato,  ed è anche assediato dai creditori. Le circostanze rispecchiano i vari volti dell’ingiustizia: quella che scaturisce dalle decisioni individuali avventate, e quella prodotta dai difetti del sistema, che non fornisce i mezzi adeguati per combattere i mali che affliggono la collettività.  Nel cosiddetto stato di diritto le controversie si dirimono in tribunale, tra accuse reciproche, ammende pecuniarie, giorni di detenzione, ed atti amministrativi che creano atroci dilemmi e calpestano il senso dell’umanità. La discordia tra Simin e Nader si conclude in pochi minuti, in un ufficio, con una firma in calce a un documento. Ed in maniera altrettanto lapidaria  si determinerà il destino di Termeh, chiamata dal giudice a scegliere con quale genitore andare ad abitare in via definitiva. Il codice (religioso o giuridico) è l’impianto invisibile, però onnipresente, che fa da cornice a questa intricata vicenda: è attraverso i suoi criteri astratti che si definiscono la colpa e l’innocenza, la verità e la menzogna. Però, purtroppo, in mezzo agli estremi opposti, rimane lo sterminato territorio del dubbio, popolato dal rimorso, dal rimpianto, dalla voglia di tornare indietro e dall’incapacità di andare avanti.

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