Regia di Werner Herzog vedi scheda film
Affascinato fin da bambino dalle pitture rupestri e irresistibilmente attratto dalle
condizioni di vita (e di ripresa) più estreme, Herzog si avventura nelle grotte di Chauvet-Pont-d’Arc, scoperte nel Sud della Francia nel 1994, ma pressoché costantemente sigillate per preservare disegni vecchi di circa 30 mila anni. Solo una minuscola frazione dell’umanità ha e avrà accesso a questo tesoro, dunque il Ministero della Cultura francese ha dato l’autorizzazione, ma con diversi limiti: una troupe di quattro elementi, fonti di illuminazioni fredde, passerella fissa larga 60 cm e solo sei giornate per filmare, non oltre quattro ore al giorno. Inoltre il 3D, scelto per restituire la superficie irregolare e la sua integrazione nelle pitture, ha richiesto di assemblare e smontare ogni volta la cinepresa nel sottosuolo. Ciò nonostante siamo di fronte a un capolavoro sulla magia della raffigurazione - persino protocinematografica nel tentativo di riprodurre il movimento - che sconvolge la nostra concezione del tempo con disegni realizzati a cinque millenni l’uno dall’altro. Il tono contemplativo è al solito spiazzato da un’ironia che flirta con il bizzarro, così uno studioso suona l’inno americano con un flauto primitivo, un esperto di profumi annusa le grotte e nell’epilogo spuntano gli immancabili rettili: due coccodrilli albini. Elementi solo apparentemente incongrui, che si innestano in una riflessione filosofica sui tratti immortali e irrazionali dello spirito umano.
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