Regia di Béla Tarr vedi scheda film
Didascalia di apertura: il 3 gennaio 1889 Nietzsche, mosso a compassione da un cavallo frustato per strada, corre ad abbracciare l'animale. Da quel momento il filosofo discende nella follia. Che fine avrà fatto quel cavallo? Eccolo aggirarsi in una nebbiosa brughiera sterile, accompagnato nella stalla dal vecchio padrone e dalla figlia, miserrimi, che si nutrono di patate lesse contando i giorni mancanti alla fine del mondo.
Sempre sia lodato il fast forward. Non esiste altro modo per vedere un film simile: scene di un'esasperante lunghezza prive di azioni concretamente utili a dare un senso logico alla narrazione si avvicendano per due ore e mezza, in un silenzio di tomba solamente di rado interrotto da laconici dialoghi nei quali poco si intuisce, se non l'ossessione dell'autore per la fine del mondo. Certo che si sta parlando di Bela Tarr e occorre mantenere il massimo rispetto (la pellicola ha ottenuto anche l'Orso di Argento a Berlino); ma al di là di una messa in scena ben predisposta e di un'idea di base colma di spunti poetici cosa rimane de Il cavallo di Torino? L'idea di massima è che si tratti del classico film orientato a un pubblico snob e prono alle volontà bizzarre del regista-sceneggiatore (in quest'ultimo ruolo affiancato da Laszlo Krasznahorkai) o - chissà - di una di quelle opere che vanno riviste più volte e magari a distanza di decenni per riuscire a comprenderne a fondo il respiro. Naturalmente per chi scrive è la prima ipotesi a prevalere, ma di fronte a Tarr vale la pena di lasciare aperta anche la seconda porta. Le prime battute arrivano dopo circa venti minuti; a un'ora esatta c'è l'unico vero e proprio intervento parlato dell'intero lavoro, un monologo affidato a Mihaly Kormos, che con tale monologo entra ed esce dal film: verrebbe da solidarizzare con lo spettatore al cinema che, capitato in sala per caso e ignaro di ciò a cui sta andando incontro, se la sta dormendo della grossa da un'ora e il cui sonno viene improvvisamente interrotto dalla verbosa irruzione in scena di Kormos - verrebbe da farlo, se non fosse che quantomeno in Italia il lungometraggio non è mai stato distribuito in sala. I due interpreti centrali sono Janos Derzsi e Erika Bok; bianco e nero disperante a cura di Fred Kelemen; interventi epici, ma sporadici, della colonna sonora di Mihaly Vig; in tutto questo non è chiaro cosa ci facesse a Torino un cavallo che vive in Ungheria (o comunque nell'Europa dell'Est), ma porsi questioni di ferrea logica davanti a un lavoro simile è semplicemente inutile. 3,5/10.
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