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Il cavallo di Torino

Regia di Béla Tarr vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il cavallo di Torino

di EightAndHalf
10 stelle

Il cavallo abbracciato da Friedrich Nietszche a Torino viene seguito nella sua residenza, una stalla vicino alla casa del suo padrone, vedovo con una figlia. La vita di padre e figlia è semplice, quasi meccanica, senza alcun tipo di stimoli, né sociali né di altro genere. Entrambi utilizzano il più limitatamente possibile gli strumenti della civiltà per rispondere alle loro necessità vitali. Cuociono patate, dormono, prendono il cavallo, accendono il forno, si vestono. Non è la celebrazione di uno stile di vita semplice, il film di Béla Tarr, né la triste rappresentazione della morte di uomini innocenti, no. Il film di Tarr è la narrazione di un'apocalisse silenziosa, in cui la filosofia di Nietszche e le filosofie più pessimistiche prendono corpo e assumono forma. Così il vicino racconta del fallimento anche dei grandi uomini, della rovina della città, così il vecchio e sua figlia, gli esseri tra i più lontani dalla civiltà, sono gli ultimi ad essere inghiottiti nel nulla della fine del mondo. L'animale paradossalmente capisce prima dell'uomo che si è vicini alla Fine, smette di mangiare, smette di muoversi, vuole lasciarsi andare alla morte, poiché della vita non sta rimanendo nulla. Con l'istinto più illusorio che si possa immaginare i due esseri umani protagonisti invece rimangono sui loro passi, e non interpretano nel senso più logico neanche il passaggio dei zingari (in fuga dalla rovina descritta dal vicino bevitore di palinka). E la lettura dello strano testo apocrifo che viene consegnato alla ragazza dal più anziano degli zingari non cambia nulla, ma preannuncia allo spettatore (entrato in un contesto vitale triste e ridondante) la venuta dell'oscurità. C'è forte nichilismo, nel film di Tarr, c'è poca vitalità perché sta finendo lo stesso concetto di vita. Ed è la civiltà la prima ad essere eliminata. Sarà un paragone azzardato, ma insieme a Pulse di Kiyoshi Kurosawa, "Il cavallo di Torino" rappresenta la più bella apocalisse cinematografica, soprattutto perché non è un'apocalisse disastrosa e rumorosa, ma è silenziosa, e per questo più agghiacciante. 

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